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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Le Mans, bella e spietata: l'infinito fascino della 24 Ore

Le Mans, bella e spietata: l'infinito fascino della 24 Ore

La Toyota si ferma una manciata di secondi dal traguardo, a vincere la 24 Ore di Le Mans è ancora una volta la Porsche. Una sfortuna mai vista, quasi una maledizione. Sembra una storia d’amore e odio. Il trasporto e la passione che la Toyota ha per la mitica 24 Ore di Le Mans sono almeno pari all’accanimento con cui la più prestigiosa gara del mondo sembra respingere i tentativi di abbraccio della casa di Nagoya. Con la determinazione e la serietà che l’accompagna, è da trent’anni che l’azienda delle tre ellissi cerca di salire sul gradino più alto del podio della maratona francese.

E quando l’obiettivo appare a un passo, ecco che accade qualcosa d’imprevisto e imprevedibile e toglie ai nipponici la meritata soddisfazione. Ma non finisce qui, potete starne certi. Gli orientali sicuramente ci riproveranno e, prima o poi, anche l’accanimento della dea bendata dovrà arrendersi. Era già accaduto in quattro occasioni che la Toyota si era dovuta accontentare della piazza d’onore. Ieri sembrava tutto dimenticato, team e piloti sostenuti dal pubblico erano ormai prontissimi ha festeggiare. La TS50 Hybrid si era dimostrata la più veloce e la più constante durante tutte le 24 ore, anche la più affidabile visto che fra le tre squadre ufficiali in lotta per la vittoria assoluta era stata l’unica a non aver accusato nemmeno il più piccolo inconveniente meccanico alle sue due astronavi.

La Porsche, campionessa in carica, si era difesa con onore fino all’ultimo, scambiandosi più volte la testa della gara con la Toyota, ma nel finale i tedeschi non sono riusciti a portare l’assalto al bolide orientale che marciava rapido e puntuale come un orologio. La Toyota numero 6, quella di Sarrazin, Conway e Kobayashi aveva perso tre giri per riparare i danni causati da un testacoda con il giapponesino al volante ed era virtualmente sul podio. Ma l’altra TS50, la numero 6 guidata da Davidson, Buemi e Nakajima, era in testa con autorità davanti alla Porsche numero 2 di Dumas, Jani e Lieb, l’unica rimasta in lotta per la vittoria. Mancavano solo tre minuti allo scadere delle 24 ore e tutti si preparavano a brindare, i commissari di gara a sventolare le bandiere come vuole la tradizione.

Improvvisamente, nella parte finale di quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo giro, l’astronave nipponica ha rallentato alle “esse Ford” (le ultime prima del traguardo) andava quasi a passo d’uomo. I tifosi si sono messi ancora più in piedi, qualcuno ha pensato che Nakajima si stesse fermando per far scattare le 15 ed evitare di dover fare un ulteriore, inutile, giro. Chiaramente non era così, perché la Porsche con Jani al volante non era così lontana e quella strategia non era attuabile. Imboccato il rettilineo del traguardo la TS50 ha perso la voce, poi hanno smesso di spingere anche i silenziosi motori elettrici, il bolide non ha accelerato e si è fermato a fianco del muretto dei box, a pochi metri dalla bandiera a scacchi. Il silenzio è calato su Le Mans, una beffa atroce.

Nelle precedenti 83 edizioni era capitato che qualcuno vincesse di cento metri sul rivale dopo 5 mila chilometri, ma mai che un’auto si fermasse davanti al direttore di corsa che si preparava a sventolare la bandiera a scacchi. Le telecamere immortalavano la terribile scena: da una parte il gelo nel box Toyota, con gli sguardi persi nel vuoto e l’atmosfera di disperazione, dall’altra, il garage della Porsche con i rivali che, presi di sorpresa, saltavano di gioia rischiando di farsi male per una conclusione sulla quale ormai non avrebbero più scommesso neppure un euro. La gara era stata appassionante, un gran premio lungo un giorno. Con il sole e con la pioggia. Con il buio. I quasi 300 mila spettatori assiepati lungo gli oltre 13 chilometri del tempio della velocità non si sono mai potuti rilassare.

La Porsche 919 Hybrid, che bissa la vittoria dell’anno scorso arrampicandosi a quota 18 successi non ha certo rubato nulla, ha corso con intensità e ritmo, contrastando fino in fondo la Toyota. La 24 Ore è gloria, ma è anche spietata e si può festeggaire solo dopo aver tagliato il traguardo. Per vincere a Le Mans c’è un’altra “regola”: non basta avere l’auto più rapida. Vanno i bene i passaggi di routine in pit lane per effettuare gli interventi programmati, sono invece quasi del tutto “vietati” gli ingressi in garage, cioè all’interno dei box. Se ciò accade, la vittoria diventa difficile, quasi impossibile. E delle sei vetture ufficiali LMP1 (2 Audi, 2 Porsche e 2 Toyota), solo le due che hanno duellato fino alla bandiera a scacchi non hanno mai messo le ruote all’interno, le altre sono tutte finite sotto le cure prolungate dei meccanici e quindi arrivate attardate di diversi giri.

Approfittando del rocambolesco finale l’Audi riesce a salire sul podio, ma gli uomini di Ingolstadt non possono essere soddisfatti. La casa bavarese schierava una R18 tutta nuova, forse la più avanzata della griglia, con soluzioni tecniche ed aerodinamiche simili alle Formula 1. Le motivazioni del mancato rendimento durante tutta la gara potrebbe dipendere proprio da questo aspetto. La R18, come le attuali monoposto, è così sofisticata da essere estremamente sensibile al cambiare delle situazioni (in pista aveva vinto entrambe le prime due gare del Wec su circuiti impegnativi come Silverstone e Spa).

E in questa Le Mans non si è trovata a suo agio, non riusciva a sfruttare al meglio le gomme, aveva poca aderenza e trazione, scivolava, quindi non era veloce come avrebbe dovuto. Purtroppo ha accusato anche guasti e il distacco, che poteva essere di qualche giro, alla fine era di oltre dieci. Anche se ha fatto più giri degli altri la Toyota numero 5 non è stata classificata perché non ha tagliato il traguardo, seconda e finita l’altra Toyota che ha preceduto le due Audi molto staccate.

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Mercoledì 22 Giugno 2016 - Ultimo aggiornamento: 17:30 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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