Uno scorcio della fabbrica di Pomigliano

Fiat, perché gli operai di Pomigliano hanno
detto "si" al sindacatone alla tedesca

di Diodato Pirone
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Per chi segue il "caso Fiat" è sempre importante quello che accade a Pomigliano, la fabbrica simbolo della rivoluzione marchionniana.
Qui tutto cominciò con il ribaltamento delle (pessime) abitudini di manager e operai e la trasformazione del plant in una fabbrica-gioiello ben organizzata e a bassissimo assenteismo. Qui nacque il contratto aziendale "consacrato" dal referendum del 2010 che finì 62% a 38% per il "si". E qui ieri si è svolta un'altra votazione solo in apparenza minore e invece strategicamente importante alla quale ha partecipato addirittura il 91% degli operai. Il voto riguardava i delegati per la sicurezza (Rls, in gergo) ed è finito così: 1.200 consensi a Fim-Cisl e Uilm (con lieve prevalenza Fim), 1.000 a Fismic, quasi 700 alla Fiom e 200 all'Ugl.

A differenza di quanto si legge sulla stampa sindacale, l'importanza del voto di Pomigliano non sta solo nel ritorno alle urne della Fiom, dopo cinque anni di assenza forzata, e nella misurazione della sua forza. Il sindacato di Maurizio Landini ha ricevuto circa il 15% dei consensi degli operai napoletani. Bicchiere mezzo pieno se si pensa che solo pochi mesi fa ad uno sciopero Fiom aderirono solo 5 (cinque) lavoratori.

Bicchiere mezzo vuoto se si considera che nelle votazioni Rls svoltesi finora negli stabilimenti FCA (auto) e Cnhi (camion trattori), Fiom ha ottenuto una media di voti superiore al 30%, con punte dell'80% alla Marelli di Bologna, un exploit di oltre 2.000 voti alla fabbrica dei Ducato in Abruzzo e consensi a valanga persino fra gli impiegati degli enti centrali torinesi, il cervello di FCA Italy. Di qui una recentissima auto-nomina sui manifesti di casa Landini a "primo sindacato in Fiat".

Non a Pomigliano. La fabbrica simbolo ha negato la rivincita alla Fiom (solo 8 voti fra gli impiegati) che non è riuscita a scalfire l'alto livello di consenso al "modello Marchionne" che gli operai campani hanno garantito in tutti questi anni. Tanto che in una ricerca condotta dalla Fim e dal Politecnico di Milano si segnala che oltre l'80% degli operai di Pomigliano consiglia a parenti e amici di lavorare in Fiat.

Il vero valore aggiunto di questo episodio sindacale sta nel fatto che è il primo voto arrivato dopo la firma del nuovo contratto aziendale FCA che assegna ai dipendenti un aumento fra l'8 e il 12% annuo (fra 7 e 10 mila euro annui in quattro anni) al raggiungimento di determinati obiettivi di efficienza e di partecipazione dei lavoratori nelle fabbriche. Il contratto, poi, aggiunge rivoluzione a rivoluzione delegando il potere di sciopero negli stabilimenti al Comitato di fabbrica formato dai delegati che prende le sue decisioni a maggioranza e con tanto di verbale. Come in un parlamento democratico. Ma soprattutto con modalità che ricordano il funzionamento dei sindacati unici in America, Germania, Svezia.

Un meccanismo così innovativo e così complesso sarebbe partito col piede sbagliato se i lavoratori di Pomigliano avessero assegnato un grosso successo alla Fiom che si oppone ai piani di Marchionne.

L'85% dei consensi di Pomigliano è invece andato ai sindacati che hanno firmato il contratto aziendale e che ora sono chiamati a farlo marciare. Un risultato che deve aver suscitato qualche brivido di soddisfazione anche al Lingotto. Nei giorni scorsi il responsabile delle relazioni industriali di Fiat, Pietro De Biasi, ha usato queste parole durante la presentazione del libro di Bruno Vitali (Tremila giorni, Marsilio editore) sul caso Fiat: "Il contratto crea le condizioni per una maggiore partecipazione dei dipendenti - ha detto - Vedremo come il sindacato si muoverà per cogliere questa occasione. In ogni caso l'azienda andrà avanti". Parole tanto asciutte quanto chiare.

Non è un segreto che Marchionne sta continuando a rivoltare come calzini le fabbriche Fiat in attesa di poter trattare anche in Italia con una sola voce sindacale (o almeno con un "sindacatone") in grado di sostituire l'attuale arcobaleno delle cinque sigle firmatarie.

Che farà il sindacato del "si"? " Il voto di Pomigliano è indubbiamente un buon segnale: i lavoratori sono consapevoli della fase di sviluppo che l'azienda ha imboccato e intendono investire su questa opportunità - risponde Ferdinando Uliano, responsabile Fiat per Fim-Cisl - In attesa dell'auspicabile semplificazione del panorama sindacale, noi stiamo facendo partire corsi di formazione per i nostri delegati ma anche Fiat e i suoi quadri sono chiamati ad una ulteriore e profonda evoluzione culturale sulla strada di una vera partecipazione".

Pomigliano, insomma, è tornata a lanciare messaggi di peso. Non solo per la Fiat, ma per l'intero mondo del lavoro italiano.

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Sabato 11 Luglio 2015 - Ultimo aggiornamento: 15-07-2015 22:20 | © RIPRODUZIONE RISERVATA