La linea di montaggio di Grugliasco

Marchionne e gli operai, il modello
Grugliasco rivoluziona la fabbrica

di Diodato Pirone
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GRUGLIASCO - Il blitz di Sergio Marchionne alla Maserati di Grugliasco porta con sé una molteplicità di segnali che vanno ben al di là dello sblocco delle 500 assunzioni previste per settembre e degli straordinari. Né l'operazione è stata pensata solo per meglio ricevere il premier Renzi che il 30 giugno dovrebbe visitare Grugliasco.

Intanto è la prima volta nella storia della Fiat, almeno di quella italiana, che il capo dell’azienda sceglie la strada del rapporto diretto con gli operai. Il manager con il maglioncino ha compiuto un gesto altamente simbolico convocando nella sala riunioni dello stabilimento di Grugliasco i massimi dirigenti della fabbrica assieme ai delegati dei sindacati “amici” e ad una ventina di operai capisquadra, i team leader. Un gesto che parifica la Fiat allo stile di tanti piccoli e medi imprenditori italiani, soprattutto lombardi, veneti, emiliani che così gestiscono quanto hanno di più prezioso: la loro manifattura.

Nella trattativa diretta fra Marchionne e gli operai (dove, a giudicare dai racconti, questi ultimi hanno detto la loro spiegando i problemi della fabbrica e chiedendo nuovi investimenti per Mirafiori) si legge innanzitutto il comune interesse allo sviluppo di un progetto industriale. C’è il riconoscimento della fabbrica come luogo centrale della creazione della ricchezza collettiva e di crescita del territorio. Un fattore chiave, dimenticato spesso in passato a Torino. In un libro Giorgio Garuzzo, che fu presidente di Fiat Auto fino al 1996, ha ricordato il suo stupore quando, appena assunto in Fiat, fece il giro degli stabilimenti di sua responsabilità e direttori gli raccontavano sorpresi: "Sono anni che non riceviamo visite dai dirigenti di Torino".

La centralità culturale della fabbrica nel Marchionne-pensiero si unisce al modello organizzativo che il manager sta imponendo su entrambi i lati dell’Atlantico. Fiat Chrysler Automobiles è infatti sempre più un’azienda orizzontale, a bassa gerarchia. Al Lingotto come ad Auburn Hills, quartier generale della Chrysler, i dirigenti sono pochi e intercambiabili tra loro. FCA è gestita a livello globale da soli 23 manager che fanno parte del Direttorio, il Gec, e che rispondono direttamente a Marchionne. Non c’è altra piramide. Il manager con il maglioncino ha eliminato persino i simboli della gerarchia verticale a partire dal grattacielo di Auburn Hills che è vuoto eliminando anche il suo megagalattico ufficio americano di Ceo che oggi è collocato al secondo piano, lungo un anonimo corridoio, accanto alla stanza che ospita gli ingegneri responsabili dei nuovi prodotti.

L’abbassamento del baricentro di comando dell’azienda è avvenuto anche in Italia innanzitutto con l’eliminazione di centinaia di manager intermedi presenti al Lingotto al momento dell’arrivo di Marchionne nel 2004. Un’operazione che è stata accelerata durante la ristrutturazione della fabbrica simbolo di Pomigliano. Qui nel 2012 tutti i quadri dirigenti sono stati spostati dal grattacielo degli uffici, che oggi è chiuso, in un grande “acquario” collocato sotto lo stesso capannone che ospita le linee di montaggio. I quadri e i dirigenti Fiat di Pomigliano lavorano a stretto contatto con gli operai dai quali sono separati solo da un enorme cristallo “anti-imboscamento”.

Non solo. Oggi in tutte le fabbriche Fiat non c’è più la distinzione classica fra tute blu e colletti bianchi: i direttori degli stabilimenti vestono infatti la stessa, identica, tuta grigia (o blu nel caso della Maserati) di tutti gli altri dipendenti.
Poca gerarchia, però, non vuol dire assenza delle linee di comando. Che oggi, e l’episodio di Grugliasco lo conferma, determinano importanti novità per gli operai. A Grugliasco, Marchionne ha voluto parlare con gli operai team leader. Chi sono? Sono operai pagati per non fare gli operai. Non lavorano con le mani ma gestiscono una piccola squadra di sei colleghi che operano a rotazione in un segmento della linea produttiva. I team leader, quando funzionano bene, sono pronti a sostituire un collega che si assenta ma soprattutto fanno in modo che nella fabbrica ci sia un forte coinvolgimento e che gli obiettivi vengano raggiunti e condivisi.

Questa figura professionale ricorda la vecchia aristocrazia operaia. Si tratta di lavoratori che di fatto mandano avanti la fabbrica risolvendo i piccoli-grandi problemi spiccioli che si presentano in stabilimenti che lavorano centinaia di migliaia di pezzi al giorno.” Sono i team leader che non fanno sentire gli operai abbandonati a se stessi”, ci raccontava tempo fa un quadro della fabbrica di Pomigliano.

Il blitz di Grugliasco dunque può essere concepito perché semplifica ulteriormente la linea di comando di Fiat Chrysler lungo la direttrice Marchionne-capo stabilimento- team leader. Una essenzialità persino eccessiva. Dalla quale non si può non notare l’assenza di fatto del sindacato italiano.

Già, perché in America non è così. Nelle fabbriche del Michigan, dell’Ohio e dell’Indiana il sindacato UAW (United Automobiles Workers) di fatto è un cogestore aziendale. Ha un ruolo nelle assunzioni (14.000 finora negli Usa) e con Marchionne ha concordato un patto - per il quale viene pagato - per l'implementazione nelle fabbriche Usa del World Class Manufacturing (WCM) il nuovo sistema produttivo di Fiat. Basti pensare che la scuola di Warren che forma i nuovi assunti al WCM è gestita dai sindacalisti. Come se da noi fossero la Cisl o la Uil a insegnare agli operai come si lavora e come si partecipa alla vita aziendale.

Con la trattiva diretta di Grugliasco, Marchionne pone un’altra grande questione al sindacato italiano, direttamente a Fim-Cisl e Uilm-Uil e Fismic e indirettamente alla Fiom: quale deve essere il suo ruolo nel rilancio delle fabbriche italiane di Fiat. Sta per partire Melfi, dove 5.000 operai da luglio assembleranno la Jeep Renegade e poi la Fiat 500, l’anno prossimo toccherà a Cassino con la prima Alfa Romeo. Forse non basta più non essere antagonisti. Forse anche il sindacato italiano, o almeno una parte di esso, deve decidere se essere o no aziendalista. Se partecipare a qualche forma di cogestione o codeterminazione. Come l’UAW o, in altro modo, come l’IG Metal tedesca.

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Lunedì 23 Giugno 2014 - Ultimo aggiornamento: 06-04-2016 11:42 | © RIPRODUZIONE RISERVATA