La sede della Toyota in Brasile, una delle pietre miliari dei 75 anni di storia

Storie di successo: Toyota ha 75 anni
ed è il più grande costruttore del mondo

di Giampiero Bottino
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MILANO - Spegnendo 75 candeline, la Toyota non è certo entrata nel Guinness dei primati per l'età anagrafica. Nel panorama dell'industria automobilistica mondiale, diversi protagonisti possono vantare una maggiore longevità, ma pochi hanno percorso la strada del successo con altrettanta determinazione e rapidità. Il viaggio iniziato il 3 novembre del 1937, quando entrò in funzione il Koromo Plant, il primo stabilimento del gruppo destinato all'assemblaggio di auto, ha portato il gruppo giapponese in cima al mondo dell'auto con una produzione totale superiore ai 200 milioni di veicoli. Posizione appena riconquistata superando difficoltà di ogni sorta, dalla crisi globale allo tsunami, dalla vicenda dei maxi richiami all'alluvione in Thailandia.

L'intuizione.
Fu Kiichiro Toyoda, al ritorno da un viaggio d'affari negli USA, a convincere il padre Sakichi - conosciuto come il Thomas Edison nipponico per le sue invenzioni nel campo dei telai per l'industria tessile - a lasciargli tentare l'avventura automobilistica consentendogli di mettere al lavoro un team di ingegneri in un'area adiacente l'azienda di famiglia, la Toyoda Automatic Loom Works. Successivamente ottenne dal fratello adottivo Risabuto, succeduto al vertice dell'azienda alla morte del padre, l'autorizzazione a inaugurare un reparto automobilistico all'interno della fabbrica di telai automatici.

L'era dei camion.
La speranza di costruire un'auto di serie venne però frustrata dai venti di guerra che soffiavano sempre più impetuosi, suggerendo al governo giapponese di incentivare piuttosto la produzione di autocarri. Una richiesta alla quale Kiichiro Toyoda rispose con il Model G1, sviluppato in meno di sei mesi e destinato - con le successive versioni - ad avere un ruolo importante durante il conflitto a servizio dell'esercito imperiale.
Passione auto. Appena avviata la produzione del camion, Kiichiro tornò a occuparsi del progetto che più gli stava a cuore: il primo prototipo della Model AA vide la luce nel 1936, e si fregiò di un marchio scelto attraverso un concorso pubblico. Tra le oltre 20.000 proposte, a vincere furono i caratteri giapponesi che, tradotti in termini europei, indicano il cognome «Toyota». Un nome scelto anche per ragioni scaramantiche, poiché per scrivere Toyota in giapponese ci vogliono otto (numero fortunato) colpi di pennello. Così nacque il brand che oggi guida la classifica mondiale dei costruttori. Nell'agosto del 1938, con la nomina di Risaburo a primo presidente della Toyota Motor Company, il sogno di Kiichiro diventava finalmente realtà.

La rinascita.
A guerra finita, il numero degli occupati nella fabbrica di Koromo - che peraltro non aveva subito gravi danni - era praticamente dimezzato. Per affrontare il problema più impellente, la penuria di cibo, Toyota creò nel pressi dell'impianto alcune colture cerealicole per fornire un pasto ai dipendenti rimasti, ai quali furono ceduti molti materiali destinati alla costruzione di aeroplani per ricavarne pentole e tegami da vendere al pubblico e costituire così un’ulteriore fonte di sostentamento.

L'intuizione 2.
Con grande lungimiranza, Kiichiro si convinse che in Giappone stava per iniziare l'era delle automobili compatte, e mise i suoi tecnici a lavorare a un motore 4 cilindri 1.0 cc che nel 1947, con una potenza di 27 cv, entrò nel cofano della Model SA, soprannominata Toyopet, un nome destinato a diventare tipico delle berline Toyota. La pesante situazione economica post bellica non permise di concretizzare i sogni di crescita, e l'azienda si trovò in difficoltà anche nel pagare gli stipendi. La crisi fu superata senza tradire la filosofia aziendale: nessun licenziamento, ma un accordo per ridurre del 10% dei salari. Poiché però alcuni tagli rivelatisi inevitabili riaprirono il confronto sindacale, Kiichiro Toyoda e altri dirigenti si dimisero in segno di solidarietà verso i dipendenti, innescando un'ondata di pensionamenti spontanei che contribuì a superare il momento difficile.

Modernizzazione.
Negli anni 50 la priorità fu data all'incremento dell'efficienza: il principio della produzione just-in-time trovo più concreta affermazione con i massicci e crescenti investimenti nell'automazione. Era la nascita del TPS, il Toyota production system esteso nel 1963 a tutti gli impianti del gruppo e destinato a fare scuola in tutto il mondo dell'auto. Proprio come il «total quality control» che ha fatto del colosso nipponico un benchmark indiscusso per quanto riguarda la qualità e l'affidabilità dei prodotti. Con lo sbarco a Los Angeles (il porto americano più vicino al Giappone) di due Crown, nel 1957 inizia l'avventura americana che in 10 anni vede Toyota conquistare il terzo posto nelle vendite tra le marche estere, per superare il milione di unità nel 72 e diventare il primo brand straniero solo due anni dopo. Oggi Toyota gestisce negli USA 14 stabilimenti dai quali fino sono usciti complessivamente 25 milioni di veicoli.

Obiettivo Europa.
La conquista del Vecchio Continente comincia più tardi, attorno alla metà degli anni 60, a coronamento di alcune esportazioni poco meno che clandestine avviate a Malta e Cipro e formalmente destinate a soddisfare alcuni mercati del Medio Oriente. Protagonista ancora una Crown, acquistata da un importatore danese e accolta favorevolmente in numerosi saloni locali. Nel 1964 Toyota apre a Copenhagen il suo primo ufficio di rappresentanza europeo, che dopo 5 anni trasloca a Bruxelles per diventare poi l’attuale Toyota Motor Europe. All'inizio, i punti a favore dei veicoli Toyota agli occhi dell'esigente clientela europea furono il fattore novità e la semplicità del design meccanico, che richiedeva poca manodopera.
In altalena. Dopo alcuni anni timidi, caratterizzati da alti e bassi culminati con il crollo delle vendite europee da 163.000 a 138.000 unità in seguito alla crisi petrolifera del 1974. Fu in quel momento difficile che il gruppo, acquisendo il controllo diretto della distribuzione proprio sul mercato più ostico, quello tedesco. Era l'inizio di un progressivo passaggio su tutti i principali mercati continentali dall'importatore alla national sales company.

Entra il turbo.
La ripresa culmina con alcuni anni (i primi anni 80) di sostanziale stabilità sotto la soglie delle 300.000 unità, ma a metà decennio le cose cominciano a muoversi più rapidamente grazie all'avvento di nuovi e più apprezzati modelli di grande immagine (MR2, Supra e Celica) e a una strategia di presenza globale europea. Nel 1987, con vendite salite a quota 440.000, Toyota e Volkswagen siglano una joint venture per produrre assieme ad Hannover il pick up Hilux (Taro per la variante VW). A Zeventem, in Belgio, nasce il Toyota Technical Centre, che oggi è il centro di pianificazione globale per i segmenti A, B e C. Poco dopo, sulla Costa Azzurra, nasce il centro di design Toyota Europe Design Development (ED²), e quasi contemporaneamente sbarca in Europa il brand di lusso Lexus, inizialmente creato per il solo mercato americano.

La produzione.
Negli anni 90 accelera la produzione locale con l'inizio dell'attività delle fabbriche inglese e turca, mentre nasce la Prius che inaugura l'era ibrida e che sbarca in Europa all'inizio del terzo millennio. Negli stessi anni si susseguono le inaugurazioni: nel 2001 la fabbrica di Valenciennes comincia a sfornare le Yaris destinate all'Europa, l'anno dopo parte l'attività della fabbrica polacca di motori e trasmissioni, nel 2005 apre la fabbrica ceca realizzata assieme al gruppo PSA per la produzione congiunta delle «gemelle» Toyota Aygo, Peugeot 107 e Citroën C1. E la Prius viene incoronata «Auto dell'anno europea». Oggi Toyota, tornata sotto la guida diretta della famiglia nella personal del presidente Akyo Toyoda, gestisce trenta filiali che in Europa coprono 56 paesi. E sulle strade del continente viaggiano quasi 13 milioni di veicoli Toyota e Lexus.

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Lunedì 5 Novembre 2012 - Ultimo aggiornamento: 09-02-2013 11:28 | © RIPRODUZIONE RISERVATA