Uno scorcio della linea di montaggio di Pomigliano

Fiat avvia la riforma dei contratti:
buste paga diverse per ogni fabbrica

di Diodato Pirone
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Fiat Chrysler ”brucia” il Jobs Act e anticipa la riforma dei contratti iniziando a calcolare gli aumenti dal 2015 in base alla produttività delle singole fabbriche più che sul contratto nazionale.

E’ infatti già partita (la prossima riunione fra azienda e sindacati firmatari, Fiom esclusa, si terrà il 20 ottobre) la trattativa per il rinnovo del contratto aziendale che riguarda gli 82.000 dipendenti dei 46 stabilimenti italiani di FCA (auto e componenti) e di CnhI (camion e trattori).

Perché questa volta la trattativa Fiat, che è fuori da Confindustria, è così importante? Perché, per la prima volta in Italia, il nuovo contratto non nascerà dal classico braccio di ferro sugli aumenti salariali. La trattativa invece si farà sulle modalità di collegamento fra gli incrementi in busta paga e l’aumento della produttività. Anzi, gli incrementi saranno collegati alla produttività e alla qualità di ogni fabbrica. In altre parole, dal 2015 le buste paga dei dipendenti Fiat potrebbero essere diverse per ognuna delle 46 fabbriche del gruppo sulla base di questo criterio: paghe più alte in quelli più efficienti e con maggiore partecipazione dei dipendenti e più magre dove le cose non girano bene.

Per la verità le paghe differenziate per stabilimento non sono una novità assoluta per Fiat. Alcune società del gruppo poi, come Ferrari, quest’anno hanno pagato premi fino a 4.000 euro diversi da dipendente a dipendente sulla base delle presenze in fabbrica. Quello che è totalmente nuovo – e che secondo gli addetti ai lavori costituisce una gigantesca discontinuità in termini di cultura industriale – è l’aggancio degli aumenti al sistema produttivo di Fiat, il WCM (World Class Manufacturing), attraverso il quale l’azienda mira ad aumentare la quantità dei prodotti sfornati ma anche la loro qualità con un massiccio coinvolgimento dei dipendenti.

L’operazione richiede un salto di qualità non solo per il sindacato ma anche per l’azienda. E per capirlo bisogna fare un passo indietro e spiegare cos’è il WCM. Si tratta di un metodo di lavoro simile a quello di Toyota che punta a eliminare gli sprechi. Di qui la progettazione di catene di montaggio “facili” (come Panda a Pomigliano e Jeep Renegade a Melfi), dove gli operai ruotano nelle loro mansioni e faticano di meno. In questo modo commettono meno errori pur godendo di riposi più brevi. L’errore nel sistema WCM è infatti uno spreco poiché le riparazioni chiedono tempo e denaro. Spreco è anche il consumo di acqua e di luce per cui in Fiat i robot lavorano al buio. Spreco è ogni difetto. E infatti, secondo fonti sindacali, da quando il WCM è stato adottato a Melfi, sulla linea della Punto i “punti di demerito” (cioè le piccole riparazioni da effettuare lungo la linea) sono crollati da 50 per scocca alla bassissima media di 0,3/0,4.

Il WCM è in definitiva un sistema scientifico che spinge al coinvolgimento, dove gli ingegneri parlano con gli operai per progettare fabbriche a misura d’uomo e gli operai si trasformano in mini-ingegneri dei processi produttivi. Il bello del WCM è che ogni pilastro del sistema (sono 20) viene misurato da 1 a 100. Il risultato è che ogni fabbrica ha un suo punteggio che ne rispecchia l’efficienza quantitativa e qualitativa. In Italia hanno punteggi alti la fabbrica di Pomigliano (livello oro) e in generale quelle del comparto auto, più indietro (ma non tutti) si trovano gli stabilimenti Cnh e Iveco. Va anche detto che le fabbriche Usa di Fiat Chrysler generalmente sono in ritardo sulle italiane.

Ma se l’applicazione del WCM è così diversificata come si può collegare questo sistema ad un contratto valido per tutti? Fra i sindacati circola una risposta semplice: gli incrementi scatterebbero in base al miglioramento dei punti WCM sui pilastri (sicurezza e proposte di miglioramento) che dipendono dai lavoratori. Con alcuni correttivi. Ad esempio, in uno stabilimento oggi a quota 30 nel WCM e domani a 40 gli aumenti sarebbero identici a quelli di una fabbrica in crescita da 85 a 90. Al di là delle tecnicalità, però, la sostanza non cambia: i dipendenti Fiat vanno verso salari differenziati fabbrica per fabbrica e legati alla produttività e alla qualità. Ora la palla passa al Jobs Act.

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Domenica 12 Ottobre 2014 - Ultimo aggiornamento: 15-10-2014 07:38 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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