La nuova BMW M3, ora è solo 4 porte. La coupé si chiama M4

BMW, la 3 e la 4 mettono la M: ecco
il segreto per raddoppiare le emozioni

di Nicola Desiderio
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ALBUFEIRA – Ritorna e si sdoppia per raddoppiare le emozioni. Eccole le BMW M3 e la M4 Coupé, una stirpe iniziata nel 1986 all’interno del reparto Motorsport e che, oltre ad alimentare se stessa, ha contagiato anche altre BMW dando vita a una gamma di modelli esclusiva in grado di contemplare comfort e praticità insieme a una sportività a prova di pista.


Sdoppiata e alleggerita. Prima erano una sola vettura, ora sono due, ma la sostanza è più simile su queste M che nelle normali Serie 3 e Serie 4. Le carreggiate e la meccanica sono infatti perfettamente identiche così come tutte le soluzioni tecniche che hanno portato a tagliare il peso di 80 kg grazie all’uso dell’alluminio per il cofano anteriore, dotato della caratteristica gobba, i parafanghi e le sospensioni, ma anche della fibra di carbonio a partire dal tetto, novità assoluta per la M3 4 porte, che pesa il 40% in meno. Di materiale composito anche la barra di rinforzo inserita nel cofano motore che pesa solo 1,5 kg e l’albero di trasmissione, ora in un sol pezzo e pesante il 40% in meno. Anche il motore è più leggero di 10 kg e tutti i guadagni portano la massa della M4 a 1.497 kg e a 1.520 per la M3.

La firma non solo in una lettera. Esteticamente ci sono tutti gli elementi che tradizionalmente caratterizzano le M come i listelli della griglia sdoppiati, i cerchi fucinati da 18 pollici – ma ci sono anche da 19” – con raggi sdoppiati anch’essi che montano solo pneumatici Michelin Super Sport sviluppati in esclusiva, gli specchietti retrovisori con il braccio superiore fasullo e gli sfoghi d’aria laterali che diventano anche Air Breather, migliorando contemporaneamente l’estrazione dell’aria calda dal cofano e i flussi di aria intorno alla vettura. Non eccezionale il cx di 0,34 per entrambe, ma qui è la deportanza a comandare e per questo la M3 ha, tra le tante soluzioni, un piccolo labbro sul cofano posteriore mentre quello della M4, anch’esso parzialmente in fibra di carbonio, è sagomato in modo diverso con un profilo ad arco. Caratteristico lo scarico con due coppie di terminali al centro. Molteplici gli accorgimenti per aumentare la stabilità in velocità e assicurare il necessario raffreddamento a meccanica e freni.

Sportività ben misurata. Caratterizzazione nel segno della tradizione anche per l’abitacolo. Bello il volante dalla corona massiccia e sagomata, cucita con filo blu e rosso con la parte centrale piccola e rotonda, razze laterali uniche con alcuni comandi, mentre quella inferiore è metallica e sdoppiata. Il resto è pari alle altre Serie 3 e Serie 4, le uniche aggiunte sono i pulsanti accanto alla leva del cambio che servono alla gestione della dinamica del veicolo. Allo stesso scopo rispondono le funzioni e le schermate aggiuntive offerte dall’head-up display e dal sistema infotelematico comandabile attraverso il caratteristico manopolone sul tunnel centrale, sormontato dal touchpad e capace di offrire anche un’ampia gamma di servizi on line oltre alla chiamata automatica in caso di emergenza. I sedili, pur sportivi nel profilo, offrono tutti i comfort del caso, compresi il riscaldamento e le regolazioni elettriche, anche per il supporto lombare e per i fianchi. Novità è la M illuminata sullo schienale, d’ordinanza invece quella sul battiporta, sulla strumentazione, volante e leva del cambio. A dominare è il colore nero, per le modanature c’è ampia scelta, ma quella più coerente è sicuramente il carbonio a vista.

Il ritorno del 6 cilindri. Dopo la parentesi del V8, si torna al 6 cilindri in linea e si passa al turbo, anzi al biturbo perché i turbocompressori Mitsubishi sono 2 in parallelo – uno per ogni 3 cilindri – e l’intercooler aria-acqua è posizionato sulla testata per accorciare al massimo il percorso dell’aria. Diversi anche l’albero motore, fucinato e più leggero, e il blocco, con costruzione closed deck e con canne ricavate non attraverso inserti, ma con trattamento superficiale LDS. Contrari ai dettami di purezza sportiva sono le misure infraquadre – alesaggio x corsa 84x89,6 mm – e la lubrificazione a carter umido, ma con l’aggiunta di una pompa supplementare che entra in azione con forti accelerazioni trasversali. Anche le altre pompe sono a portata variabile, per diminuire l’assorbimento di energia, e la distribuzione ha il doppio variatore di fase e di alzata sul lato aspirazione. Questo 6 cilindri in linea eroga 550 Nm (+27%) tra 1.800 e 5.500 giri/min limite dal quale tira fuori 431 cv (+11 cv) fino a 7.000 giri/min con licenza di girare fino a 7.600 giri/min. Non saranno gli 8.500 del precedente V8, ma per un turbo è comunque un regime ragguardevole. I consumi sono di 8,8 litri/100 km pari a 204 g/km con il cambio manuale, provvisto di frizione bidisco e funzione di doppietta automatica in scalata, mentre con il doppia frizione a 7 rapporti l’efficienza migliora del 5-6% e il tempo sullo 0-100 km/h scende da 4,3 a 4,1 secondi grazie al launch control. Per chi vuol fare scena c’è anche la funzione smokey burnout che fa pattinare le gomme facendole fumare. A trasmettere invece tutta la coppia in modo efficace in curva ci pensa un differenziale a controllo elettronico capace di variare la percentuale di bloccaggio da 0 al 100%. La velocità massima è di 250 km/h, ma il limitatore può essere spostato a 280 km/h.

Hardware e software. Lavoro intenso anche per l’autotelaio. I bracci delle sospensioni sono in alluminio, così come i mozzi, con l’assale anteriore che guadagna 5 kg e quello posteriore invece collegato alla scocca attraverso un sottotelaio senza l’interposizione di boccole in gomma o idrauliche, per avere il massimo contatto con la strada. Sviluppo meticoloso anche per gli pneumatici, messi a punto insieme a Michelin per realizzare la migliore armonia con il telaio. Gli ammortizzatori sono a controllo elettronico a richiesta e il loro smorzamento può essere selezionato separatamente o secondo tre profili base più due personalizzabili che comprendono anche la regolazione di motore, sterzo, scarico, cambio, strumentazione e controllo di stabilità e trazione. Ciascuno di questi parametri può essere impostato separatamente. In più c’è l’M Dynamic Mode che limita al minimo l’intervento dell’elettronica. I freni hanno dischi compound – dischi in ghisa e tazze in alluminio – oppure carboceramici.

Velocissime, in modi un po’ diversi. La M3 e la M4 ti fanno sentire a casa. Un po’ perché le BMW si fanno riconoscere anche dentro, un po’ perché le M rappresentano un modo di intendere l’auto sportiva assolutamente riconoscibile. Dunque funzionalità e spazio perfettamente identici a quelli delle versioni “normali”, ma sapienti tocchi per dare la sensazione che potresti scendere in pista ogni volta che ti viene voglia. Ed è quello che ci è stato concesso di fare. Il sound e la risposta al minimo non sono in verità di quelli da drizzare il pelo della schiena, ma la spinta non appena ci si muove è notevole e i rapporti al cambio lunghi, piuttosto che mortificarla, esaltano viceversa la progressione mettendo nelle mani del pilota un’auto che è capace di cambiare passo in modo perentorio e con una rapidità che inchioda al sedile portando ad andature proibite, prima che subentrino le giuste inibizioni. Delle due M piacciono l’equilibrio sui curvoni veloci associato invece a un’agilità insospettabile nel misto, grazie a uno sterzo non velocissimo, ma preciso e a una motricità che può essere messa in difficoltà solo da veri e propri errori di valutazione che con vetture di questo tipo vanno in ogni caso evitati.

La pista le confessa e le esalta. Per mettere alla frusta le due M abbiamo avuto anche l’opportunità di guidarle sul circuito di Portimao, una successione di 13 curve che occorre imparare bene perché i terribili saliscendi le rendono cieche in almeno 3 occasioni e, se ci si deconcentra un solo attimo, si rischia di chiedersi: ma dopo si gira a destra o sinistra? E viste le velocità che si raggiungono, è un dubbio che è meglio non avere. Un mix che porta su e già cuore e stomaco esaltando equilibrio del telaio, potenza e resistenza dei freni e “schiena” del motore. E qui le differenze, che su strada appaiono minime, diventano più evidenti. In questo modo, anche se sono praticamente uguali sotto, M3 ed M4 mostrano i loro rispettivi caratteri. La prima è più facile e ci si può giocare di più mentre la seconda è più veloce e precisa, probabilmente per il baricentro e la seduta più bassi, ma proprio per questo chiede al pilota più impegno e sensibilità per esprimere i suoi limiti superiori. Il lavoro fatto su ben 5 circuiti dagli uomini BMW, compresi i piloti del DTM dove la M4 sta dominando, si sente tutto e l’unico neo è una certa lentezza del cambio nelle scalate più cattive. Ma è una circostanza che su strada non si riscontra mai lasciando invece spazio alla piacevolezza di guidare un’auto che come poche riesce a coniugare comfort, praticità e sportività.

Una scelta difficile… La M3 e la M4 arrivano ufficialmente in Italia il 21 giugno con un listino che parte da 76.750 euro per la 4 porte e da 77.850 euro per la due porte, una differenza assai inferiore a quella di circa 4mila euro che esiste tra le rispettive versioni dei due modelli. Un modo ulteriore per sottolineare le analogie instillando un dubbio amletico a chi – per sua fortuna – può averlo: prendere la M3 o la M4? Questione di gusti, per palati che in ogni caso saranno abbondantemente soddisfatti e potranno avere a settembre un’altra alternativa: la M4 Convertibile, per chi il vento vuole sfidarlo sentendolo tra i capelli. Diverse invece le origini, ma pedigree comunque illustre: la M3 sarà assemblata a Ratisbona, come è dal 1992 mentre la coupé nascerà nello storico impianto di Monaco, dove nel 1985 è nato il reparto Motorsport.

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Martedì 17 Giugno 2014 - Ultimo aggiornamento: 21-06-2014 17:32 | © RIPRODUZIONE RISERVATA