Ayrton Senna con il suo inconfondibile casco giallo

Ayrton Senna in cielo da vent'anni:
la leggenda di un pilota diventato eroe

di Giorgio Ursicino
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Il weekend maledetto. Così lo ricordano tutti. Così è scritto nella storia, un tempo drammatica, della velocità. Le corse, si sa, sono una cosa pericolosa. Escludendo quel fine settimana da incubo, però, la Formula 1 si potrebbe definire uno sport quasi sicuro.


Sono passati 20 anni dal quel primo maggio 1994, una domenica di primavera che si portò via la giovane vita di Ayrton Senna Da Silva, uno dei piloti più amati, forse il più forte di tutti i tempi. Da allora nessuno dei ragazzi coraggiosi che vivono a 300 è più morto in corsa, eppure di incidenti terrificanti ce ne sono stati tanti. Vinto l’incubo del fuoco, anche prima di quel weekend era passato oltre un decennio senza vittime in gara.

La precedente tragedia era accaduta nel 1982 in Canada quando Riccardo Paletti non riuscì nemmeno a passare la linea di partenza poiché la sua Osella si schiantò contro la Ferrari di Didier Pironi rimasta ferma sulla griglia. Da 0 a 200 e da 200 a 0 in un lampo, il francese non si fece nulla, per il povero italiano non ci fu nulla da fare. Che quello di Imola fosse un gran premio bastardo si era intuito il venerdì con il cappottamento del giovane Barrichello alla variante bassa. Poi il sabato aveva perso la vita Roland Ratzenberger, schiantandosi a 300 km/h alla curva Villeneuve. Prima del via i piloti erano scossi, una forte tensione era nell’aria: nessuno di loro aveva mai corso dopo aver perso un compagno.

Lo era in particolare Ayrton, ragazzo di fede profonda che si sentiva molto vicino al Signore (aveva sempre la Bibbia con sé, pare ne leggesse un brano prima di schierarsi) e confidava spesso ai suoi amici: «La vita è un dono che Dio ci ha dato e noi siamo obbligati a conservarlo con cura». Ma c’era anche l’aspetto sportivo che rendeva nervoso Senna: quell’anno aveva voluto e ottenuto il bolide che aveva stradominato gli ultimi due Campionati (con Mansell nel ’92 e Prost nel ’93) e lui affrontava la terza gara con ancora zero punti in pagella, mentre il suo giovane rivale Michael Schumacher, con la Benetton dotata del meno potente V8 Ford rispetto al suo V10 Renault, era a punteggio pieno.

Come nelle due gare precedenti il brasiliano scattava dalla pole nel GP di San Marino e quella di Imola era una gara da vincere. Subito la safety car per un incidente in partenza, poi il nuovo via con Ayrton davanti a Michael. Sfortuna e tragedia erano dietro la curva. Senna passa sul traguardo a tutto gas e, senza alzare il piede, si tuffa nella piega a sinistra del Tamburello. Qualcosa va storto e la Williams tira dritto, andando a picchiare a folle velocità contro il muretto che evita di finire nel Santerno adagiato nel fosso sottostante. Il pilota tenta di frenare, ma lo spazio è poco e l’erba fuori dall’asfalto fa da trampolino.

Erano le 14.17 di domenica primo maggio. Il botto è forte, ma l’angolo d’impatto dolce, poco più di venti gradi, l’auto non si ferma in quel punto, rimbalza in pista rendendo meno brutale la decellerazione. Le monoposto sono già robuste, utilizzano l’indistruttibile scocca in carbonio da oltre dieci anni e un impatto in quel punto l’avevano già provato senza grosse conseguenze negli anni dispari Piquet (’87), Berger (’89) e Alboreto (’91). La speranza di tutti e che sia un altro di quegli incidenti spettacolari, ma senza grandi conseguenze. Purtroppo non è così e si capisce subito. Ayrton non si muove, non manda segnali. E’ immobile, con la testa piegata in modo innaturale.

I soccorsi sono immediati, le speranze nulle: il corpo di Ayrton è integro, ma il puntone della sospensione anteriore destra è entrato come una lama nella visiera del pilota perforandogli la testa. I medici dell’ospedale Maggiore di Bologna dove è stato trasportato con l’elicottero accertano la morte del Campione alle 18.40. Un silenzio spettrale avvolge il Circus della Formula 1. Negli anni seguenti il processo confermerà che sulla Williams progettata da Adrian Newey ha ceduto il piantone dello sterzo che era stato modificato ai box per rendere la posizione di guida più favorevole. E Ayrton non ha potuto far nulla se non attaccarsi ai freni. Il suo funerale a San Paolo, dove era nato 34 anni prima (il giorno in cui sbocciava la primavera del 1960), resta indimenticabile con un corteo verso il cimitero Murumbi lungo chilometri fra due ali di folla: Senna era amato in tutto il mondo, ma nel suo paese era un idolo, un eroe, il simbolo nazionale.

Quel 5 di maggio c’erano tutti i più grandi piloti in circolazione, anche il suo grande rivale Alain Prost che si era ritirato pochi mesi prima per non correre ancora nello stesso team di Senna. Due grandi talenti che si sono combattuti e stimolati l’uno con l’altro, molto di più di quanto hanno fatto Lauda e Hunt recentemente raccontati dal film Rush. La carriera di Ayrton interrotta prematuramente è da leggenda, ma vale la pena ricordare solo qualche numero: 161 gran premi, 41 vittorie, 65 pole position, “appena” 19 giri veloci in gara. Sono la sintesi del suo carattere, del suo approccio. Ayrton adorava la velocità e si esaltava soprattutto nelle qualifiche in periodi in cui c’erano assetti, gomme e addirittura motori per affrontare il giro secco.

Sulla singola tornata nessuno era in grado di contrastarlo, è partito in pole in quasi metà delle gare che ha disputato, un record battuto solo da Schumacher (3 pole in più) che però a disputato quasi il doppio delle gare (307). Spesso, con la pole già in mano e i rivali fermi ai box senza speranze, rientrava, cambiava le gomme e ripartiva per migliorare se stesso. Questo aspetto di romanticismo e coraggio lo ha sempre accompagnato e reso famoso, un pilota che un grande cuore che difficilmente faceva scelte penalizzanti per lo spettacolo. La sua grinta lo rendeva imbattibile sulla pioggia. Era un predestinato e lo si capì subito, da quando per correre cambiò il nome del padre Da Silva con quello della madre Senna (era di origini italiane).

Prima le vittorie con il kart in Sudamerica, poi in Europa il dominio in Formula Ford e Formula 3 umiliando gli avversari. Nel 1984 l’esordio in F1 e con la cenerentola Toleman dà spettacolo a Montecarlo recuperando manciate di secondi al giro a Prost sull’asfalto allagato. Ickx (un altro mago della pioggia), che è il direttore di corsa gli toglie il sapore della vittoria, interrompendo per motivi di sicurezza la gara in anticipo. Indirettamente è il primo dispetto che Ayrton fa Alain poiché la vittoria con punteggio dimezzato assegna meno punti di un secondo posto e alla fine il Professore perde il Campionato del mondo per appena mezzo punto (trionfa il vecchio compagno di squadra Lauda).

La vittoria è solo rimandata, arriva l’anno successivo con la Lotus (sempre sul bagnato) in Portogallo. Tre anni alla Lotus, l’ultimo con il motore Honda, Casa che lo spinge in McLaren nel 1988. In McLaren c’è Prost, ma il titolo va ad Ayrton. L’anno successivo Alain si prende la rivincita, ma la gara a Suzuka è gonfia di polemiche poiché i due si toccano e Senna che riesce a ripartire e vincere la gara viene squalificato per aver saltato la chicane. Il francese passa alla Ferrari e sulla stessa pista un anno dopo il brasiliano restituisce la beffa: Alain è scattato in testa, Ayrton alla prima curva lo centra volutamente (lo ammetterà solo in seguito) e si prende l’iride.

Nel ’91 altro titolo con il nuovo V12 Honda, poi nel ’92 è l’anno della Williams con le sospensioni attive e il V10 Renault. Stessa storia nel ’93 con Prost al posto di Mansell, ma Ayrton conferma la sua classe con la meno potente McLaren V8 a Donington sotto il diluvio: 4 sorpassi al primo giro, Prost terzo doppiato e Hill staccato di un minuto e mezzo. Per ricordare il grande campione all’inizio di maggio ci sarà una no-stop di tre giorni all’autodromo di Imola. Saranno in tanti, da tutto il mondo, che vorranno ricordarlo ed onorarlo.

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Giovedì 1 Maggio 2014 - Ultimo aggiornamento: 05-04-2016 05:57 | © RIPRODUZIONE RISERVATA