L'ex ingegnere della Ferrari Mauro Forghieri

Forghieri, l'ultimo degli ingegneri “totali”:
«Che avventura il trionfo Ferrari nel 1965»

di Cristiano Chiavegato
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LE MANS - Mauro Forghieri progettista a 360 gradi, motori, telai, meccanica e anche aerodinamica, è stato il più longevo e prolifico responsabile della Gestione Sportiva della Casa del Cavallino Rampante. Assunto da Enzo Ferrari nel 1960 per lavorare nell’ufficio tecnico, già un anno dopo, con il divorzio da Maranello dell’ing. Carlo Chiti e di Giotto Bizzarrini, era diventato in pratica il capo del reparto tecnico delle vetture da corsa. Un ruolo che mantenne fino al 1984 per passare successivamente alla Ferrari Engineering, dove rimase sino al 1987. E ancora oggi, a 80 anni compiuti lo scorso gennaio, si occupa di macchine e motori.

«Monoposto, vetture granturismo, prototipi, gare di F1, endurance e salita - racconta l’ingegnere modenese - hanno riempito la mia vita. Troppi ricordi, molti belli e qualcuno brutto. Ma mi sono rimaste nel cuore alcune corse storiche, come la 24 Ore di Le Mans. Ferrari ci teneva molto, i successi in quella gara davano visibilità per vendere le nostre vetture stradali. Quindi, pur non disponendo di grandi mezzi, dedicavamo tanto tempo all progettazione e alla costruzioni degli sport-prototipi».

La Scuderia puntava molto quindi sulla grande corsa francese che fra l’altro aveva sempre raccolto un parterre di centinaia di migliaia di spettatori e di personaggi del cinema, della cultura e della politica. «Mi sono rimasti in mente, indelebili - continua Forghieri - due episodi che riguardano la “24 Ore”. L’ultima di nove vittorie e la prima grande sconfitta. Erano tempi, metà anni Sessanta, in cui la squadra Ferrari si nuoveva anche al risparmio. Si andava alle corse in macchina, magari stipati in quattro o cinque in un abitacolo, panini a pranzo e a volte anche a cena. E alberghi che di sicuro non erano di lusso».

Nel 1965 un trionfo, tre Ferrari sul podio. Ma con retroscena incredibili. «Per fortuna - spiega Mauro - vincemmo con la 275 Le Mans della scuderia Nart di Chinetti, guidata da Grégory e Rindt. Ma le nostre vetture ebbero problemi con i dischi freno che si crepavano. Però avevamo visto che si trattava di pezzi di serie, montati anche sulle berlinette 275 GTB. Ce n’erano parecchie nei parcheggi. Così mandammo i meccanici a smontarli per piazzarli sulle vetture da corsa. Lasciammo un biglietto sui parabrezza, chiedendo scusa e che li avremmo restituiti. I clienti furono grandiosi, non dissero nulla, anzi ci ringraziarono».

Poi arrivò la sconfitta da parte della Ford che convinse Enzo Ferrari a lasciare le gare endurance, perché non si poteva più competere con certi rivali come la Casa americana e la Porsche. «Però - conclude il tecnico modenese - in quel 1967 capitarono cose strane. Noi, per controllare le nostre posizioni usavamo il cronometraggio ufficiale e quello della squadra. Nella notte ci risultava che Sacarfiotti e Parkes erano secondi a 1 giro dalla Ford MK di Gurney e Foyt. A un certo punto non ricevemmo più i dati dalla direzione corsa e al mattino, quando ripresero le informazioni, ci fu comunicato che il distacco era salito a 5 giri, mentre secondo il nostro cronometraggio era rimasto immutato.

Andammo a protestare, ma non ci fu nulla da fare. Arrivammo comunque secondi. Ci eravamo anche accorti che le potenti vetture americane perdevano pezzi di carrozzeria. Per evitare il problema le vetture erano state sigillate con un nastro adesivo della Minnesota largo diversi centimetri. Operazione proibita dai regolamenti. Anche quel reclamo però fu respinto. Il potente capo dell’organizzazione, Finance, mi fece rispondere: «Mauro c’est l’argent», cioè potere del dollaro. Però ci eravamo presi una rivincita anticipata, con la parata di tre Ferrari ai primi tre posti nella 24 Ore di Daytona».

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Venerdì 12 Giugno 2015 - Ultimo aggiornamento: 15-02-2016 17:08