Eiji Toyota con il presidente della GM Smith all'inaugurazione della fabbrica in Usa

Addio a Eiji Toyoda, l'uomo che ha spinto
il gigante Toyota ai vertici mondiali

di Diodato Pirone
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ROMA - Ha cambiato il lavoro a milioni di persone, non solo nell’industria. E ad altri milioni di persone, consumatori, ha reso possibile l’acquisto di auto d’ottima qualità a prezzi potabili. Sono le due principali medaglie che brillavano sul petto di Eiji Toyoda, il manager giapponese che nei suoi 57 anni da dirigente della Toyota (fondata da suo zio) ha fatto dell’azienda nipponica non solo il più importante produttore d’auto del mondo ma soprattutto un “caso” studiato in tutto il pianeta per le enormi innovazioni introdotte sui postio di lavori ma soprattutto nel modo di concepire il lavoro stesso. Non a caso, tanto per cominciare, il signor Toyoda se n’è andato ieri con i suoi 100 anni appena compiuti (il 12 settembre) per un attacco cardiaco che lo ha colpito mentre era ricoverato nell’ospedale che la Toyota aveva fatto costruire nel 1938 per curare i suoi dipendenti.

Toyoda, assieme al suo famoso braccio destro, l’ingegnere meccanico e amministratore delegato Taiichi Ohno, fu l’inventore del sistema di produzione della Toyota che ha dato vita ad una vera e propria filosofia, ovvero ad un modo di lavorare “diverso” noto come toyotismo o, semplificando, “lean economy” (economia snella). Tutto nacque nel 1950 quando Toyoda e Ohno furono inviati negli Stati Uniti dall’esercito americano che ancora occupava il Giappone. L’Us Army aveva bisogno di camion per la guerra di Corea e i due manager nipponici dovevano imparare a produrli visitando gli stabilimenti della Ford di Deaborn, in Michigan. Toyoda e Ohno ci misero poco a capire che le tecnologie meccaniche americane non erano così avanzate rispetto a quelle già in uso nelle fabbriche nipponiche ma furono colpiti da un altro modello organizzativo a loro sconosciuto: quello dei supermarket.

Oggi non ci faremmo più caso, ma all’epoca l’idea di porgere la merce ai consumatori era una novità assoluta. I due giapponesi, abituati a mangiare “fabbrica e organizzazione”, ci misero un attimo a trasferire quell’idea alla loro catene di montaggio: porgere i pezzi da montare agli operai invece di “costringerli” a camminare per andarseli a prendere avrebbe fatto risparmiare tempo e denaro. E se si riduceva lo spreco (muda in giapponese) di tempo perché non ridurre anche tutti gli altri sprechi come i sovraccarichi (muri) di lavoro e gli orpelli inutili (mura) come i magazzini. E perché non generalizzare il modello portandolo fuori dalla fabbrica, creando un sistema logistico molto efficiente come il “just in time” che consentiva di rifornire lo stabilimento dei soli semilavorati necessari alla produzione giornaliera eliminando lo spreco del costoso accumulo dei pezzi di scorta.

Un’organizzazione del lavoro efficiente – nel Toyoda pensiero - non può che essere molto partecipativa. Il coinvolgimento totale dei dipendenti nel modello Toyota è accompagnato da una struttura gerarchica della fabbrica non solo sottilissima (snella) ma rovesciata. Con i direttori e i quadri a stretto contatto con i lavoratori ai quali, in cambio di un prodotto d’alta qualità su cui basare la sicurezza del posto di lavoro, è richiesto di formulare costantemente proposte di riduzione dei costi e di snellimento – ancora – del processo produttivo (kaizen, miglioramento continuo).

Questo segreto ha consentito alla Toyota, anni fa, di raggiungere un utile enorme, pari a quello di tutte le altre fabbriche d’auto al mondo. Oppure di arrivare a valere in Borsa 16 volte la capitalizzazione della General Motors americana. O, ancora, a fare della Corolla il modello d’auto più venduto in assoluto sul pianeta.

Ma soprattutto il toyotismo ha cambiato profondamente il modo di lavorare lungo le catene di montaggio trasformandole da organizzazioni paramilitari e alienanti tipiche del fordismo (ricordate il film “tempi moderni” di Chaplin) in veri e propri centri di “relazione sociale” dove gli operai accettano di scambiare il loro “sapere informale”, che spesso consente di trovare soluzioni produttive che sfuggono agli ingegneri progettisti e in ultima analisi all’azienda, con condizioni di lavoro migliori e più eque nel nome di prodotti di alta qualità venduti a prezzi competitivi. Questo modello si è lentamente ma costantemente affermato in tutto il mondo consentendo di lavorare meglio e di produrre a costi più bassi. Obiettivi raggiungibilissimi, dove viene applicato, anche negli uffici e in generale nei servizi. Una grandissima lezione, quella di Hiji Toyoda. Cristallina nel suo valore per i cinque milioni di italiani che tutt’oggi lavorano in fabbrica. Ma certamente non solo per loro.

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Mercoledì 18 Settembre 2013 - Ultimo aggiornamento: 08-10-2013 15:14 | © RIPRODUZIONE RISERVATA