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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino

La Scuola Normale di Pisa, lo strano acquario in cui ogni rapporto umano è un po' un giallo

Il Regno Unito è la patria dei collegi e degli studentati, una giovinezza passata tra stanze spoglie e mense poco invitanti è parte del bagaglio esistenziale di molti britannici e il senso di solitudine che ci si porta dietro per tutta la vita è stato spesso raccontato in film e romanzi. In Italia è diverso, i collegi sono pochi e spesso circondati da un’aura di mistero, sempre che il pubblico ne conosca l’esistenza. Un caso emblematico è quello della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove convivono poche centinaia di ragazzi dai 18 anni in su dopo aver passato un esame di ammissione molto selettivo e aver ottenuto una borsa di studio statale. Della Scuola fino a poco tempo fa si sapeva quasi solo che ci aveano studiato Carlo Azeglio Ciampi e Massimo D’Alema, che quest’ultimo non si è mai laureato e che i suoi studenti sono molto ma molto secchioni. ‘Il secchiodromo’, lo definì un giorno un amico informato delle cose del mondo. Un po’ poco per un istituto d’eccellenza che sforna studiosi rispettatissimi in tutto il mondo e di cui l’Italia dovrebbe vantarsi molto più di quanto faccia. Ci volevano due scrittrici diversissime per età e trascorsi per dare finalmente di quei luoghi un resoconto vivo e veritiero. Il fatto che siano due donne a parlare di un ambiente che entrambe definiscono piuttosto (se non molto) misogino spiega forse la maggiore facilità con la quale si sono sottratte al gioco della competizione per rivelare debolezze e ferite accumulate in quegli anni. La prima è Elena Ferrante, che nel secondo volume dell’Amica geniale racconta di come Lenù grazie allo studio e alla dedizione riesca a sfuggire alla miseria e all’ignoranza del quartiere dov’è nata per andare a Pisa, da dove inizia a scoprire il mondo, si crea una sua posizione, incontra il compagno di studi Giorgio Airota e lo sposa, diventando prima una moglie borghese e poi, finalmente, una scrittrice nota. Il racconto che fa degli anni pisani è assai severo, ma per Lenù la Scuola rappresenta un nuovo inizio, la possibilità di andare via di casa con i propri mezzi e questo, a distanza di decenni da quando è ambientata la storia della giovane napoletana, continua ad essere uno degli aspetti più positivi di quell’istituzione: mentre Oxford o l’École normale supérieure di Parigi sono molto più connotate socialmente, con molti ragazzi provenienti da ambienti privilegiati o da scuole private, a Pisa quello di Lenù, figlia di un usciere ma studiosa e determinata, rimane uno dei profili più comuni. Dopo aver sperimentato di persona la differenza con altri centri universitari d’eccellenza, continuo a ritenere che ci sia di che essere fieri, fierissimi della capacità italiana di coltivare conoscenza e talento al di là delle classi sociali. Si tratta di qualcosa di straordinario e molto raro, e va preservato a tutti i costi. Uno sguardo più cupo e analitico è quello della ventinovenne Ilaria Gaspari, milanese, laureata in filosofia e dottoranda a Parigi. Nel suo ‘Etica dell’acquario’, pubblicato a settembre da Voland, racconta di quattro amici che tornano a Pisa a dieci anni dal diploma di fine studio (i normalisti prima si laureano all’università, poi si diplomano con una tesina a parte) in seguito al suicidio di un’amica. “Sembrava una cosa volgare, a Pisa, avere un’età e delle ambizioni, o almeno lo sembrava a me e ai miei amici di allora”, scrive Gaspari nella sua prosa tersa ed elegante, andando fin da subito a puntare il dito contro il primo equivoco su cui è basata la Scuola: si tratta di una comunità di menti, non di corpi, e “ai cinquecento ventenni che vivevano insieme, disposti a dimenticare di avere vent’anni in nome, ancora, dell’eccellenza, facevano paura quelli che con i loro dubbi o la loro incoscienza riuscivano a ricordarglielo”. Come Gaia, la protagonista, troppo vistosa e innamorata del suo fidanzato per riuscire a fare proprio il lugubre ideale della maggioranza dei suoi compagni di studi. Una vitalità che dovrà riuscire a comprimere o a gestire in qualche modo. I normalisti sono “adolescenti costretti ad una vecchiaia precoce”, secondo la scrittrice, che osservando la vasca dei pesci nel cortile di uno dei collegi ha una rivelazione: gli animali, per sopravvivere in un luogo innaturale “che a tratti sapeva farsi più selvaggio, più violento del mondo di fuori”, avevano sviluppato caratteri mostruosi, e così i normalisti. Se l’acquario è la Normale, la Normale è però a sua volta una versione estrema e ingigantita dei vent’anni ed è per questo che il romanzo di Ilaria Gaspari – un piacere da leggere - racconta qualcosa di più di una storia minima. Il resto del libro si sviluppa come un giallo, ma anche come un romanzo di formazione in cui l’intensità e la profondità delle amicizie costruite nella città toscana rappresentano il rovescio positivo di una medaglia troppo pesante per un diciottenne. Queste relazioni umane sono preziose e irripetibili, a condizione però di sapersi lasciare andare alla loro potenza e di saperle gestire nonostante il contesto claustrofobico e soffocante. Non sempre ci si riesce, è la dolorosa lezione che la protagonista e i suoi amici imparano crescendo e tornando a vivere in un mondo esterno in cui alcuni si riscoprono ancora più inadeguati. Tanto che quella dell'acquario, almeno nel ricordo, rischia di apparire come un'età dell'oro. Un po' come i vent'anni. 

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Lunedì 19 Ottobre 2015 - Ultimo aggiornamento: 18:21 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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