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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Una fabbrica di auto

Auto, arrivano 17 miliardi di multe per i costruttori: o si vendono più elettriche o bisogna ridurre le termiche

di Giorgio Ursicino

La matassa si è ingarbugliata. Un po’ troppo, anzi parecchio. La mobilità sta cambiando, questo è certo. Dopo anni di quasi immobilismo, il progresso tecnologico ha offerto soluzioni per cui nulla sarà più come prima. La transizione verso molteplici cambiamenti è affascinante, ma difficile da gestire. In futuro avremmo auto meno inquinanti che faranno ricorso ai motori elettrici, ma ci saranno anche vetture in grado di guidarsi da sole, totalmente connesse e con una capacità di gestire i dati mostruosa che chiamerà in causa software sofisticatissimi e microchip dalla potenza straordinaria. In poche parole, i veicoli come li conoscevamo fino a qualche anno fa non saranno più disponibili, anche perché l’innovazione attira nuovi protagonisti disposti ad investire con l’obiettivo di guadagnare.

Cavalcare la trasformazione di un settore industriale tanto complesso, che coinvolge migliaia di fabbriche e centinaia di milioni di persone in tutti i continenti, è sicuramente impegnativo. Il cambiamento dovrebbe essere assecondato e non imposto, ma alcune volte i decisori politici impongono il cambio di passo quando i mercati e la società non sono ancora pronti. Il problema è grosso soprattutto in Europa, che ha sempre avuto la leadership mondiale del settore e che ora le sta sfuggendo di mano. Il giocattolo, che aveva sempre funzionato da oltre un secolo, è finito sotto pressione ed ora rischia di andare in tilt. Nel continente il lavoro costa caro e l’energia altrettanto, se non c’è più supremazia tecnologica diventa difficile competere con i nuovi rivali.

L’Unione Europea ha stilato un calendario ambizioso ed, ora che i nodi vengono al pettine, rischia di risultare inadeguato. Già da tempo si è deciso lo stop ai veicoli termici nel 2035 e, cosa passata sotto gamba, la drastica limitazione delle emissioni medie delle auto vendute già nel 2025. I costruttori che non si adeguano devono pagare multe salate e questo, in un periodo già di grossa difficoltà, non può che creare il panico. Le decisioni erano state prese con la stessa ratio: per vendere l’ultima vettura con motore a scoppio nel 2035, dieci anni prima il rapporto elettrico-termico doveva raggiungere un certo equilibrio, ma la lancetta dell’orologio è in grave ritardo. E la pratica delle sanzioni non sembra la più adatta. L’unico modo per far funzionare il rapporto con una media non è soddisfacente, se non è possibile piazzare più elettriche, è ridurre il numero delle termiche. E questo è un disastro che si somma ad un altro disastro.

Le case automobilistiche si stanno già preparando a ridurre l’impatto delle multe e, non riuscendo ad imporre le elettriche, tagliano la produzione delle termiche. Per il settore è un’autentica mazzata. Realizzare meno vetture significa, in un contesto già in crisi, avere un forte esubero di stabilimenti e, quindi, di forza lavoro. È quello che sta accadendo nel Continente e, soprattutto, in Germania che è sempre stata la capitale dell’automotive. La soluzione che chiedono alcuni paesi, in primis l’Italia, è quella di congelare le multe, ma sarebbe l’ammissione che il calendario fatto non funziona e, contemporaneamente, rivedere il divieto per il 2035 perché irrealizzabile. Quindi la certificazione del fallimento anche dell’auto ecologica che era uno dei fiori all’occhiello del Green Deal almeno nei tempi ipotizzati.

A questo fatto fondamentale si aggiungono altri disagi non previsti o almeno difficili da ipotizzare. È un dato che la locomotiva d’Europa, soprattutto dal punto di vista dell’automotive, ha le ruote sgonfie perché tutto il Paese ha subito una brusca frenata dopo anni di crescita. L’Italia quest’anno produrrà poco più di 300 mila auto, un’industria minimi termini. Per la nostra componentistica considerata un’eccellenza, quindi, è più preoccupante quello che accade in Germania dove la produzione di veicoli era di 5 milioni. In questo scenario, dove pesa sicuramente anche la guerra in Europa e il forte aumento dell’energia soprattutto per chi non ha notevoli risorse nucleari, si aggiunge l’affaire Cina che ha accelerato sull’automotive non solo elettrico.

I potenti costruttori tedeschi hanno da tempo stretto legami forti con il grande paese orientale che si possono trasformare in un abbraccio fastidioso. Da una parte la Cina è diventato in fretta il primo esportatore di auto nell’Unione facendo concorrenza ai produttori locali. Dall’altra, la Germania esportava molte vetture di lusso verso Pechino e milioni di pezzi li realizzava in loco in collaborazione con aziende locali. Se ci sono attriti fra Bruxelles e Pechino i rischi di ritorsioni restano elevati. In più, molte elettriche di elevata produzione di marchi europei sono realizzate in Cina ed anche loro incappano nei dazi.

Con tutte queste turbolenze il quadro è andato fuori controllo e sono disponibili meno vetture elettriche di quanto si prevedesse, i prezzi quindi non scendono come si prevedeva, invitando gli automobilisti a stare alla finestra in attesa di tempi migliori. È vero sta arrivando un numero significativo di auto a batteria di piccole dimensioni, ma i listini restano cari e le colonnine in alcuni paesi sono ancora insufficienti per togliere l’ansia d’autonomia. Il 2025 sarà decisivo per incassare un cambio di passo. La cosa preoccupante, comunque, non è solo la non crescita dell’elettrico, ma la crisi del mercato generale: per tornare a livelli pre-covid bisogna ancora recuperare milioni di auto, mentre c’è lo spettro che le consegne scenderanno ancora.

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Lunedì 18 Novembre 2024 - Ultimo aggiornamento: 19-11-2024 13:46 | © RIPRODUZIONE RISERVATA