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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
Il top manager Carlos Ghosn

Renault e Nissan in profonda crisi, pagano l'uscita di scena di James Bond Carlos Ghosn

di Giorgio Ursicino

Un storia dal sapore amaro. Ma bella. D’altri tempi. Nell’era in cui le macchine ambiscono ad avere il sopravvento sull’uomo e, addirittura, l’intelligenza artificiale può mettere in campo performance inarrivabili per la mente umana con un progresso enorme per tutti, esistono ancora eventi in cui una sola persona può indirizzare, nel bene e nel male, il destino di centinaia di migliaia di altre. Una favola. Una vicenda che merita di essere raccontata al di là dei numeri, del business e della finanza. Proprio all’alba del terzo millennio abbiamo avuto modo di vedere che l’intuizione, il genio, il talento possono cambiare il corso delle cose in positivo. Di esempi ce ne sono tanti: da Bill Gates a Steve Jobs, da Jeff Bezos ad Elon Musk.

Fino all’italianissimo Sergio Marchionne. Il loro impegno, il loro coraggio e la loro creatività hanno infiammato i freddi numeri di Borsa stravolgendo la loro esistenza e quella di tanti altri. Spesso, però, la potenza dell’uomo può cambiare lo scenario globale anche senza fare niente, soltanto perché sia scesa dalla giostra la persona sbagliata e nel momento meno opportuno. Parliamo dell’affaire Ghosn, una storia tanto anomala che non può non sfociare nella leggenda come il più giallo dei romanzi. I contorni della soap opera sono noti, non è questa la sede per ricordarli.

Dalle stelle alle stalle, un guru finito nella polvere. E poi intrighi internazionali, esigenze di Cancellerie, trame di servizi segreti. Fino ad una rocambolesca “fuga di mezzanotte” in cui un manager apparentemente solitario si fa gioco del sistema di sicurezza di uno dei paesi più tecnologici del mondo per approdare a capodanno nell’atmosfera lussureggiante di Beirut. Una trama quasi banale per un film di James Bond. Da qui la storia che ci interessa, che non può non catturare la nostra attenzione. In soli 24 mesi, il costruttore automobilistico più grande del mondo (nel 2017 l’Alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi ha venduto più veicoli di tutti, oltre 10 milioni) è finito in testacoda rimanendo, badate bene, un’eccellenza assoluta dal punto di vista del prodotto e da quello industriale, con un ranking che aveva spinto il gigante ai vertici, non solo come grandezza ma, soprattutto, come qualità. La Renault, una gemma europea.

La Nissan addirittura un’icona mondiale, il costruttore leader dal punto di vista dell’innovazione strategica che fa faville nei due principali mercati del globo, la Cina e gli Usa. E se era così due anni fa, statene certi, lo è tuttora. I conti, invece, sono un’altra cosa. Gli analitici mercati finanziari sono umorali al massimo e, senza Ghosn al timone, sembrano aver messo in castigo i franco-giapponesi. La borsa di Parigi ha voltato le spalle alla Regié: meno di due anni fa, nella primavera del 2018, l’azione era quotata quasi 100 euro, con una capitalizzazione vicina a 30 miliardi; ora il titolo vale circa un quarto, 25 euro, con il valore complessivo sceso a 7,5 miliardi.

Discorso molto simile per Nissan: meno di due anni fa, il titolo valeva oltre 21 dollari e mezzo, con una capitalizzazione vicina ai 40 miliardi; ora vale poco più di un terzo, 8 dollari e mezzo, per un valore complessivo di 16,4 miliardi di dollari. In soldoni, i due costruttori messi insieme attualmente valgono meno della fenomenale Ferrari che realizza solo diecimila capolavori l’anno e vanta ricavi per meno di 4 miliardi. Ripetiamo, il valore sostanziale della due società, in un arco di tempo così relativamente breve, è rimasto invariato e si tratta di livelli ottimi. Prima o poi scopriremo chi ha tirato il freno d’emergenza del treno ad alta velocità lanciato a 400 km/h.

Suvvia, ci vogliono far credere che finora hanno bruciato una quarantina di miliardi di valore per recuperare gli 83 milioni di cui si sarebbe indebitamente appropriato Ghosn secondo gli accusatori. Peraltro di un processo che non si celebrerà mai, e non certamente per caso. I mercati finanziari hanno punito Renault-Nissan per la mancanza di leadership (Ghosn non c’è più) e per una governance diventata fumosa, nonostante la casa francese controlli il 44% della Nissan e abbia anche i diritti di voto nel Board. Ma i mercati, per quanto instabili, non sono completamente isterici, un’occhiata ai risultati finanziari sicuramente la danno e quelli divulgati dalle due aziende nei giorni scorsi sono da bocciatura senza appello, non c’è nemmeno la speranza di essere “rimandati a settembre”.

Per carità, nessuna velleità di un’analisi finanziaria seria per misurare la febbre alle due società, solo una rapidissima occhiata superficiale ai comunicati di Renault e Nissan che sono arrivati nelle redazioni di tutti i continenti, spedite dalle compagnie stesse che, essendo quotate, hanno l’obbligo di comunicare (ci viene il dubbio che qualcuno avrebbe preferito evitare). Da dove cominciamo? Da Oriente o Occidente? Il sole si leva ad Est da dove inizia pure la giornata, quindi la priorità spetta a Nissan. In Giappone, l’anno fiscale parte ad aprile e si chiude a marzo, quindi i dati ufficiali più freschi sono quelli del “terzo trimestre” che coincide con la chiusura dell’anno “Gregoriano”.

I numeri sono imbarazzanti, difficile credere che sono dell’azienda considerata un simbolo di virtù nell’ultimo ventennio e, quello che più preoccupa, vanno di male in peggio, con i target fatti ora dal management (quale?) dimezzati rispetto alle previsioni di poco più di un mese fa. Che la Nissan sia straordinaria lo dimostra il fatto che in Cina, il suo principale mercato che è anche il più grande di tutti, in forte difficoltà per la frenata delle vendite dovuta al coronavirus, ha tenuto botta molto meglio degli altri incrementando addirittura la quota. Nelle vendite totali diminuite del 10,7% nei primi nove mesi dell’anno Orientale, la casa di Yokohama ha perso molto meno, guadagnando 0,6 punti di quota e, con oltre un milione di consegne, si è andata a prendere una fetta del 6,3%.

Ancora meglio ha fatto negli States (9,1% di quota) deve ha venduto in 9 mesi poche migliaia di veicoli meno di un milione. Un po’ peggio le cose sono andate nel resto del mondo, l’altro terzo dove l’invidiatissima Nissan piazza i suoi veicoli: -6,9% in Giappone, -16,2% in Europa (compresa la Russia), -11,5% nel resto del mondo. Nei primi 9 mesi (a fine dicembre) il fatturato mondiale di Nissan è sceso del 12,5% con le vendite in calo dell’8,1% (a 3,7 milioni di unità) su uno scenario globale in frenata del 5% a 65,3 milioni di esemplari. Il profitto operativo è sceso del 82,7%, il profitto ordinario del 70%, l’utile netto dell’87,6% con un margine operativo appena di un soffio in territorio positivo (0,7%).

La Nissan ci aveva abituato a veleggiare vicino alla doppia cifra e nell’esercizio precedente, nonostante sia terminato 5 mesi dopo l’arresto di Carlos Ghosn, si era attestato ancora al 3,7%. Il business sta andando benino solo in Cina dove, nonostante il quadro generale pessimo, il margine operativo si è attestato al 2,1%, salvando l’indice generale. Che in cabina di comando non ci sia più nessuno ed i piloti siano evaporati nel nulla, lo confermano le previsioni di target a distanza di un mese che sembrano firmati da chi dà i numeri al lotto: margine operativo -43,3%, utile netto -40,9%.

Bella fiducia, brancolano nel buio e non ci credono più nemmeno loro. Con non poco imbarazzo ma con filo di realismo, i vertici hanno fatto sapere con anticipo che non ci sarà cedola di dividendo nell’esercizio che si concluderà a marzo poiché le risorse servono per «far ritrovare competitività alla compagnia». Facciamo mezzo giro del mondo con la prua ad Occidente e veniamo ai risultati Renault che invece sono tutti quelli dall’intero 2019. La prima cosa che salta agli occhi è l’azzeramento (appena 19 milioni) del risultato netto che era stato di quasi 3,5 miliardi nel 2018 (con Carlos già nelle galere nipponiche...). In frenata tutti gli indicatori: vendite in calo del 3,4%, fatturato del 3,3%, risultato operativo giù più o meno di un terzo con un margine del 4,8 rispetto al 6,3 dell’anno precedente.

Il volto femminile del Ceo ad interim Clotilde Delbos ha voluto ringraziare tutti i dipendenti «per gli sforzi fatti affinché i risultati non fossero peggiori». Il primo luglio, tuta e casco ben allacciati, entrerà nel quartier generale di Boulogne-Billancourt a prendere il comando del vascello in acque agitate Luca De Meo. Non poteva esserci scelta più azzeccata. Luca è un ragazzo pieno di talento che ha fatto apprendistato alla corte delle scuole più qualificate della terra. Il bocconiano iniziò la carriera proprio in Renault prima di percorrere la parabola del figliol prodigo: apprendistato alla Toyota, l’azienda automotive più strutturata e profittevole del pianeta, poi a fianco del Marchionne d’assalto nella sua primavera in Fiat, dove la mission quotidiana era salvare aziende dal fallimento.

Un giorno sulle montagne russe di quel Lingotto vale come un master ed Harvard. Sergio lo considerava il suo pupillo preferito, ma lo “sculacciava” quando non riusciva a frenare il suo esuberante impeto. Poi il Volkswagen Group (prima alla VW, poi all’Audi, quindi ha riportato in utile le Seat), la corazzata, l’ammiraglia di oltre 600 mila dipendenti e 10 milioni di veicoli l’anno, dove s’impara come in nessun altro posto a non pestare i piedi a nessuno (soprattutto ai potenti). De Meo è uomo incline al dialogo, scaltro manovratore e abilissimo comunicatore, che ama far parlare i fatti. Per valutarlo nella poltrona che fu di Ghosn bisogna tener presente che non ha più i giapponesi ai suoi ordini, ma si troverà a lottare con un manipolo di samurai ammutinati all’ultima difesa del loro fortino.

Se c’è una chance di riuscita, Luca la sfrutterà. Quanto alla Nissan ora è un purosangue imbrigliato, rischia di farsi male con la propria forza. Basta togliere il tappo è risorgerà da sola, in un lampo, proprio come fece con Ghosn un ventennio fa. Il brand che realizza la GT-R, l’unica quattro posti ad altissime prestazioni (ops, l’altra è la Giulia Quadrifoglio di Sergio Marchionne) in grado di competere con le supercar, che ha lanciato l’auto elettrica moderna cambiando il corso della mobilità e che ci ha fatto per primo assaporare le meraviglie della guida autonoma, non ha nessuna ragione al mondo per guardare l’autostrada con le gomme sgonfie.

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Sabato 7 Marzo 2020 - Ultimo aggiornamento: 13:11 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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