Un impianto capace di trasformare i rifiuti - inclusi cibo, cartone, plastica e carta - in benzina o gasolio per alimentare i motori termici. Non è però la sintesi di una scena del film Ritorno al futuro - quando Doc Brown per rifornire la sua DeLorean inizia a tirare fuori le cose da un cestino e dice a Marty McFly “ho bisogno di carburante” prima di far cadere una buccia di banana e altri pezzi in una tramoggia sul retro dell’auto - ma è una realtà che potrebbe rivoluzionare la transizione energetica. È quanto accade già oggi a Bangalore, in India, dove la Shell ha costruito un impianto pilota che trasforma i rifiuti, compresa la spazzatura domestica scartata, in benzina o gasolio. «Lo studio di soluzioni per trasformare i rifiuti in energia è l’alchimia di questo secolo - afferma Alan Del Paggio, vicepresidente di CRI Catalyst Company l’azienda del gruppo Shell che si occupa di questa tecnologia in tutto il mondo - ma non è magia; è semplice chimica». Di certo nel mondo non mancano i rifiuti, domestici, agricoli o forestali.
Lo studio Shell basato su un recente rapporto della Banca Mondiale afferma che entro il 2100 la popolazione urbana mondiale, in forte crescita, produrrà tre volte più rifiuti domestici rispetto a oggi. Lo studio indica in oltre 6 milioni di tonnellate prodotte al giorno entro il 2025 la quantità di rifiuti domestici che potrebbero essere disponibili, quasi il doppio rispetto ai circa 3,5 milioni del 2010. E formula l’ipotesi che si arrivi a 11 milioni entro la fine del secolo. Nell’impianto pilota di Bangalore - che fa parte del modernissimo campus dove lavorano 1.500 ricercatori - la trasformazione diretta dei rifiuti in carburante viene ottenuta utilizzando un processo di reazione catalitica a due stadi denominato IH2 che è stato sviluppato dal Gas Technology Institute un centro di ricerca con sede negli Stati Uniti. Nella reazione dell’IH2 si utilizzano calore, idrogeno e catalizzatori per convertire le grandi molecole - del tipo che si trovano nei rifiuti - in frammenti più piccoli. Ossigeno e altri contaminanti vengono rimossi per creare idrogeno e carbonio puri, che vengono poi combinati per creare molecole di idrocarburi: benzina, gasolio ma anche cherosene l per aerei.
Il processo funziona con i rifiuti forestali e agricoli, ma è anche abbastanza robusto da gestire i rifiuti urbani selezionati. Devono essere rimossi vetro, metallo e gomma, sebbene IH2 sia in grado di gestire una piccola quantità di plastica nonostante la loro complessità chimica. «Questa tecnologia può far fronte a molto di ciò che viene buttato via - aggiunge Del Paggio - Il cartone e la carta sono cellulosa, quindi possono essere gestiti, e questo vale anche per i tessuti naturali. E gli sprechi alimentari sono ideali. L’impianto può anche assorbire fino al 15% di plastica, inclusi tessuti come poliestere e nylon». Per quanto entusiasmante e semplice possa sembrare la tecnologia, le sfide rimangono. Gli impianti, ad esempio, devono essere vicini a una fonte consistente e affidabile di rifiuti, altrimenti i costi di trasporto della materia prima per il funzionamento della struttura diventano troppo elevati. «Dopo prove di laboratorio tutte riuscite, sappiamo che il processo IH2 funziona. La vera sfida è farlo in modo economico e sostenibile su larga scala - afferma Del Paggio - Il sito dimostrativo di Bangalore gestirà cinque tonnellate di rifiuti ogni giorno». L’idrogeno prodotto durante la prima fase del processo viene conservato e poi, durante la fase finale, ricombinato con il carbonio per formare idrocarburi. «La nostra tecnologia produce anche abbastanza idrogeno per essere autosufficienti dal punto di vista energetico - conclude del Paggio - e se l’impianto pilota avrà successo, il passo successivo sarà quello di costruire un primo impianto su scala commerciale».