Sergio Marchionne

Fiat, titolo fermo ma fra gli analisti
spunta il partito pro-Marchionne

di Diodato Pirone
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ROMA - Ormai non c’è dubbio: gli analisti e la Borsa mantengono il pollice all'ingiù sul piano quinquennale di Fiat Chrysler Automobiles presentato da Sergio Marchionne lo scorso 6 maggio a Detroit.

Anche ieri il titolo Fiat è rimasto intorno a quota 7,5 euro contro gli 8,6 registrati lunedì 5 maggio. E a poco vale ricordare che ai primi di dicembre 2013, solo cinque mesi fa, era possibile acquistare un’azione del Lingotto con soli 5,2 euro.
La grande maggioranza degli osservatori pensa che il piano firmato da marchionne sia scritto sull’acqua: 7 milioni di vetture vendute, di cui ben 400 mila Alfa Romeo, con utili pari a 5 miliardi di euro nel 2018 sono giudicati obiettivi irrealistici. Nessuno ha capito bene, inoltre, come farà Fiat Chrysler a finanziare i 55 miliardi di euro di investimenti previsti.

All’estero il più duro di tutti è stato il professor Ferdinand Dudenhoeffer, che dirige il Center Automotive Research dell’Università di Duisenberg-Essen. “Non credo a neanche una delle cifre del piano di Marchionne – ha detto Dudenhoffer – Se fosse così facile fare i soldi con l’auto tutti farebbero questo mestiere”. In Italia meritano un accenno le reazioni della Fiom le cui fagine facebook, curiosamente, questa volta danno ragione al mercato che ha punito il vecchio “nemico”.

E tuttavia nelle ultime ore, mano a mano che la polvere si sta depositando, fra gli analisti è nato un piccolo partito pro-Marchionne. Come al solito se ne sono accorti per primi gli americani che, ancora sorpresi dalla resurrezione del carrozzone Chrysler, tendono a trattare “Sergghiooo” con un occhio di riguardo.

Ecco dunque cosa dichiara Richard Hilgert, analista del “Chicago stock-broker Morningstar”. “Il piano è estremamente ambizioso e ha una strategia ben studiata – ha dichiarato Hilgert al Detroitnews – Può aver successo anche se non al 100%. Per me il bicchiere è mezzo pieno e non mezzo vuoto”. Un’altra lancia a favore di Marchionne l’ha spezzata, sempre con il Detroitnews, Pierluigi Bellini, analista milanese dell’IHS Automotive. “Non mi convince il crollo del debito entro il 2018 e trovo più realistico un obiettivo di 250.000 vendite fra cinque anni per l’Alfa Romeo – ha dichiarato Bellini - Però il piano è parzialmente credibile e raggiungerà una parte degli obiettivi fissati ”. Anche Fitch, la nota società di rating del debito, segnala che gli obiettivi FCA sul mercato cinese (meno del 3% di quota) non sono irrealistici e che “la rimozione dei limiti all’uso degli utili di Chrysler a partire dal 2016 libererà molte risorse per lo sviluppo dell’azienda”.

Al partito dei pro-Marchionne ieri si sono iscritti alcuni giornalisti come Tom Walsh del lettissimo Detroit Free Press e l’inglese Jason Stein, direttore del noto giornale specializzato Autonews. "Sergio è senza dubbio un manager diverso dagli altri", ha scritto Walsh in un editoriale. “Perché Marchionne ha inchiodato per 11 ore analisti e giornalisti mostrando loro centinaia e centinaia di slides?”, si è chiesto Stein. La risposta è “semplice e al tempo stesso complessa - ha spiegato Stein – Marchionne non ha aperto il suo kimono, non ha rivelato le carte segrete che si giocherà nei prossimi anni ma ha mostrato soprattutto centinaia e centinaia di slides sul processo di formazione delle decisioni in Fiat Chrysler, con una trasparenza che poche aziende dimostrano. Voleva mostrare soprattutto la forza d'analisi e di sviluppo del gruppo e della squadra dei manager”.

A ben vedere le leve che sfruttano i sostenitori di Marchionne sono due. La prima: il manager con il maglione ha voluto imprimere nella mente degli osservatori che FCA, che viene dall’inferno del fallimento (come ha ricordato apertamente lo stesso Marchionne), ora ha una forte capacità di pianificare le sue scelte e una voglia matta di fare soldi. La seconda: il lungo evento di Detriot intende motivare i 300 mila dipendenti che ora percepiscono meglio di lavorare in una impresa aggressiva che offre sviluppo e protezione ai suoi “figli” su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Come si vede, le osservazioni dei marchionnisti hanno un elemento in comune: il piano non viene giudicato sulle cifre ma sulla sua “filosofia”. Una filosofia che Marchionne ha esaltato più volte quando, ad esempio, ha attaccato “il capitalismo delle tabelline” con l’evidente obiettivo di smontare una certa arroganza del mondo della finanza che giudica le aziende sui risultati di un trimestre piuttosto che sullo sviluppo a lunga scadenza. Oppure quando ha citato Tolstoj per ricordare che “la realtà non è quella che si vede quanto piuttosto quella che la mente è capace di realizzare”.
Frasi che non potevano piacere ad osservatori abituati a giudicare manager e imprese d’auto solo dalla quantità di utili o dalla qualità dei veicoli.

Niente di più lontano dal marchionnismo. Sergio Marchionne, infatti, non è e non sarà mai come i “car guys”, ingegneri nelle cui vene scorre benzina, come i giornalisti specializzati nell’automotive definiscono i capi delle aziende automobilistiche tedesche, giapponesi e coreane. Con la presentazione dell’ultimo piano, l'amministratore delegato di FCA ancora una volta ha voluto dimostrare che per lui le auto non sono il fine ma “solo” un mezzo per creare ricchezza e lavoro. Ma proprio per questo il manager italo canadese ha ribadito che il progetto aziendale che lui sta plasmando non solo deve essere all’altezza della migliore concorrenza ma deve contenere – attraverso i suoi prodotti e le sue fabbriche, mostrate agli analisti con orgoglio in decine di foto - un valore culturale e persino emozionale molto alto. Non a caso quelli di Chrysler sono gli spot più sofisticati tra quelli diffusi sul mercato americano.

Secondo i pro-Marchionne, insomma, l’amministratore delegato con il maglione sta dimostrando ancora una volta la sua diversità dagli altri amministratori delegati e da un mondo dell’auto che ha sempre detto di considerare anchilosato. Del resto, non ha senso per un’azienda di metà classifica come Fiat Chrysler omologarsi al comportamento dei più forti. Volkswagen, Toyota e GM, che già oggi vendono più o meno 10 milioni di veicoli l’anno, hanno una capacità di generare utili e investimenti enormemente più alta di FCA. Per Marchionne l’unico modo per evitare che Fiat Chrysler venga fagocitata dai giganti è quella di esaltare il suo Dna di unica azienda automotive davvero multinazionale, di renderla più veloce, più snella, più fresca, più colta. Come la bambina protagonista dello spot “Strike” (Ora colpisci) presentato dalla Maserati ai 110 milioni di spettatori del Superbowl. Come Davide contro Golia.

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Lunedì 12 Maggio 2014 - Ultimo aggiornamento: 15-05-2014 02:38 | © RIPRODUZIONE RISERVATA