Il porto di Napoli

Effetto Coronavirus: nautica da diporto in allarme. Appello a Conte da Afina: «Urge deroga al Chiudi Italia»

di Sergio Troise
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NAPOLI - Sembra passato un secolo dalla chiusura (il 16 febbraio) della prima fiera del 2020: il Nauticsud di Napoli conclusosi con il record di visitatori, un giro d’affari inaspettato e tanti diportisti dimostratisi pronti a riscoprire il piacere di navigare. Il successivo Pescare Show di Vicenza aveva poi provocato qualche prima perplessità; le notizie di rinvii e possibili cancellazioni di altre fiere, anche all’estero, hanno fatto scattare i primi allarmi… finché non ci siamo ritrovati tutti in emergenza, con il Coronavirus abbattutosi sulla nautica come un tornado, cogliendo tutti di sorpresa, operatori del settore in testa.

C’è forte preoccupazione per gli effetti che il dilagare dell’epidemia potrà avere, e in parte ha già avuto, sulla cantieristica e su tutte le attività della filiera ad essa collegate. Il decreto Chiudi Italia emanato il 22 marzo scorso dal Governo e la conseguente sospensione delle attività produttive dell’intero comparto hanno provocato disappunto tra gli operatori, in larghissima maggioranza titolari di piccole e medie imprese. E una parte di essi, quelli che aderiscono a PNI (Polo Nautico Italiano) e ad Afina (Associazione Filiera Italiana della Nautica) hanno sollecitato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e alcuni presidenti di Regione (in testa quello della Campania, Vincenzo De Luca) a rivedere le decisioni prese.

Secondo il presidente delle due associazioni, Gennaro Amato, la sospensione delle attività produttive dell’intero comparto, così come disposto dal DPCM del 22 marzo, “comporterà danni irreparabili a tutta la filiera, che rappresenta il 5% del Pil nazionale e fattura circa 6 miliardi di euro annui”. E ancora: “Lo stop imposto – rincara la dose Amato - costringerà non solo oltre centomila lavoratori della filiera a sospendere la propria attività, ma soprattutto interromperà l’anno produttivo del segmento con le consegne estive programmate da aprile a giugno. Tutto ciò comporterà un blocco certo del settore sino alla prossima campagna produttiva dell’estate 2021”.

Per sostenere le proprie ragioni e la richiesta di deroghe, il rappresentante delle circa 250 aziende interessate ai provvedimenti restrittivi ha scritto non solo al presidente del Consiglio, ma anche ai ministri Patuanelli (Sviluppo economico), Catalfo (Lavoro e Politiche sociali) e ai governatori di Campania, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Puglia, Sicilia, Toscana, ovvero i leader di territori costieri molto vasti, parti integranti degli oltre 7.500 chilometri della costa italiana.

Nella missiva il rappresentante delle aziende interessate al problema dice, senza mezzi termini, che “il decreto sferra un colpo mortale all’industria della nautica da diporto (…) Non capiamo come sia stato possibile non tener conto di un settore come il nostro e dell’indotto che ne consegue, tanto da decretarne la morte certa (…) Facciamo appello alla vostra sensibilità affinché si possano apportare deroghe urgenti che ci consentano di continuare la nostra attività”.

E il rischio di contagio? La salvaguardia della salute dei dipendenti e degli stessi titolari delle aziende nautiche? Da noi interpellato, il numero uno degli imprenditori nautici aderenti a PNI e Afina chiarisce: “Non chiediamo esenzioni, sappiamo bene che la salvaguardia della salute è prioritaria, e non chiediamo di ignorare i decreti, chiediamo soltanto che si possano creare le condizioni per mettere in atto tutte le misure necessarie per la tutela dei lavoratori e di noi stessi, senza per questo bloccare del tutto il lavoro. Si deve trovare un equilibrio tra produzione e salvaguardia della salute, con senso di responsabilità da entrambe le parti. Speriamo davvero di essere ascoltati, in quanto le conseguenze di questi provvedimenti, così come sono configurati finora, potrebbero essere molto più gravi di quanto si possa immaginare”.

Secondo Amato “senza una deroga a quanto stabilito, molti imprenditori sarebbero costretti a sospendere i contratti dei lavoratori e, soprattutto, dovrebbero far fronte a inevitabili crisi di liquidità e di gestione, correndo il rischio di esposizioni bancarie non sostenibili. Sarebbe – aggiunge l’imprenditore napoletano – un danno enorme per le aziende che rappresento, ovvero per circa 250 realtà produttive e commerciali concentrate prevalentemente nella piccola e media nautica, autentica ossatura di un settore, tengo a ribadirlo, che nel suo insieme rappresenta il 5% del Pil nazionale e fattura circa 6 miliardi di euro annui”.

Fin qui l’iniziativa partita dalla componente minoritaria (ma assai battagliera) della cosiddetta “piccola nautica”, che si riconosce in Afina e PNI. E gli altri? Che cosa fa la maggioranza degli operatori nautici aderenti all’ex Ucina oggi Confindustria Nautica, quella che rappresenta anche i produttori di yacht, super yacht e mega yacht, ovvero i cantieri che macinano record su record nell’export, nel leasing, nei fatturati, e tutto ciò che ad essi si ricollega, ovvero l’accessoristica, i motoristi, i servizi, i porti turistici, il charter?

Secondo indiscrezioni trapelate dall’interno di Afina (né confermate né smentite dal presidente Amato) ci sarebbe stato un tentativo, partito da Napoli, per concordare un’azione concertata con gli operatori concentrati su Genova, ma l’iniziativa non avrebbe sortito alcun effetto, vuoi per i rapporti non idilliaci tra le due associazioni, vuoi per le rigide disposizioni interne a Confindustria, che sulle questioni legate ai problemi del lavoro in tempo di Coronavirus pretende che ci si affidi a ciò che fanno i vertici romani, e che ci si attenga a indirizzi comuni.

In proposito, vale la pena ricordare che sin dai primi segnali d’allarme, in Viale dell’Astronomia è stata costituita una task force interna, con il coinvolgimento dei responsabili delle varie aree di competenza sulle tematiche oggetto d’interesse. Stando a quanto comunica la stessa associazione confindustriale, dunque, “tale task force risponde in maniera puntuale ed efficiente alle esigenze del sistema associativo, in quanto punto di raccordo con gli attori istituzionali”.

Se e quanto siano stati esaminati, e sottoposti all’attenzione dei succitati attori istituzionali, i problemi del comparto nautico, non è dato sapere. E’ però certo che in una prima fase Confindustria si è occupata dei rapporti commerciali e dei lavoratori italiani provenienti dalla Cina, nonché della partecipazione delle nostre imprese a fiere internazionali (presumibilmente comprese quelle nautiche). In una seconda fase, più propriamente legata al diffondersi del virus nel nostro Paese, Confindustria – come si legge in una nota ufficiale – “ha rafforzato il novero delle azioni avviate, che allo stato attuale riguardano diversi livelli, dal confronto con i Ministeri competenti per la messa in campo di strumenti fiscali, finanziari e giuslavoristici tesi a minimizzare l’impatto dell’emergenza sul sistema economico italiano, al supporto diretto alle associazioni del sistema”. Anche in questo caso, è dunque presumibile che sul tavolo di Conte e dei ministri interessati siano finite le preoccupazioni del vertice ligure del comparto nautico, a difesa di imprese e lavoratori di quella parte del Made in Italy che di certo non può rimanere indifferente di fronte ai rischi che corre l’intero sistema.

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Giovedì 26 Marzo 2020 - Ultimo aggiornamento: 17:39 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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