Un porto turistico

Nautica, la Finanziaria dimentica i porti turistici: a rischio oltre duemila posti di lavoro

di Sergio Troise
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ROMA - Il rischio era forte e tutti gli operatori della nautica lo sapevano. Ma era forte anche la speranza che all’ultimo momento si riuscisse a porre rimedio a una situazione da tempo denunciata, di cui tutti erano a conoscenza e che, con un po’ di buona volontà, avrebbe potuto trovare una soluzione prima di Natale. Invece niente: la Finanziaria non ha tenuto conto delle istanze avanzate dagli operatori nautici, in particolare dal comparto dei porti turistici, e dunque fortissima è stata la delusione per la mancata risposta del Governo al tema dell’applicazione retroattiva - a contratti già in corso – dell’aumento fino al 400% dei canoni demaniali.

A dire il vero il vice ministro Rixi, intervenuto a Roma all’incontro di fine anno con gli operatori della nautica, aveva messo tutti sull’avviso: “Ci proveremo ma non sarà facile” aveva detto l’esponente di Governo, anticipando che con ogni probabilità si sarebbe tentato di far qualcosa nel corso del 2019. E così è stato: nonostante l’intensa attività di confronto con diversi ministri, l’emendamento parlamentare volto a chiudere a stralcio, prima di Natale 2018, i contenziosi di 25 porti turistici con lo Stato, non è stato inserito nel maxi emendamento del Governo votato al Senato.

Il contenzioso – come è noto - riguarda l’applicazione retroattiva, a contratti già in corso, dell’aumento fino al 400% dei canoni demaniali fissato dal Governo Prodi nel 2006. In continuità con il passato, si è scelto di rinviare ancora una volta una decisione, necessaria ora più che mai, a evitare il “fallimento di Stato” delle imprese, che travolgerebbe i 2.200 addetti delle strutture portuali interessate.

In assenza di una specifica norma, a nulla sono valse le sentenze del Consiglio di Stato e quella della Corte Costituzionale, che ha sancito che i canoni demaniali possono sì essere aumentati, ma non retroattivamente, dovendosi distinguere fra i contratti di concessione in corso e quelli stipulati successivamente all’entrata in vigore degli aumenti. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha cominciato recentemente a esigere le somme non dovute e il primo dei 25 porti in contenzioso, quello della Marina di Rimini, si è già visto bloccare i conti correnti.

In una nota diffusa da Ucina, viene ricordato che “in Italia le infrastrutture della nautica da diporto sono state costruite interamente con capitali privati e, a conclusione dei contratti di concessione delle superfici libere, saranno gratuitamente devolute al patrimonio pubblico dello Stato. Ciò che sta avvenendo rappresenta dunque una indebita pretesa dello Stato, a ulteriore dimostrazione di una cultura anti impresa che si diffonde nel Paese. Operando in questo modo – sostengono gli operatori della rappresentanza confindustriale degli operatori nautici - il messaggio che arriva forte e chiaro a tutti gli investitori, nazionali ed esteri, è evidente: l’Italia è un Paese dove non ci sono certezze e di cui non ci si può fidare”.

Con amarezza, Ucina fa notare anche che “il secondo messaggio di questa legge di bilancio, fortemente negativo, è quello per cui, ancora una volta, ottiene ascolto solo chi blocca servizi pubblici essenziali”. Ciò detto, le attività di rappresentanza non subiranno pause. “In questo scenario – si legge a conclusione della nota diffusa dopo il no all’emendamento – Ucina conferma comunque il suo impegno e la prosecuzione dell’azione di rappresentanza e di difesa di tutta la filiera della nautica italiana, per il necessario prosieguo di un confronto con le istituzioni su questo e su altri temi sensibili del settore”.

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Martedì 25 Dicembre 2018 - Ultimo aggiornamento: 20:37 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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