L'ultima carezza prima del volo sull'elicottero - di M. Ajello

Marchionne e quell'ultima carezza prima del volo sull'elicottero

di Mario Ajello
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dal nostro inviato
ZURIGO Volano via gli occhiali. Sparisce il maglioncino. Finisce la storia di un uomo speciale. E Sergio Marchionne ora starà, come nella celebre canzone di Bob Dylan, che piaceva anche a lui - Knockin' on Heaven's Doors - bussando alle porte del Paradiso. Il suo viaggio nell'aldilà è cominciato da qui, dalla stanza in terapia intensiva all'ospedale di Zurigo. Un infarto, durante il coma, e poi un altro infarto, tra la notte e il mattino. Le condizioni erano irrecuperabili, e non ce l'ha fatta più lui che le battaglie impossibili era abituato a vincere. Ma questa s'è rivelata troppo più grande del suo corpo che, già nell'ultima apparizione pubblica a Roma, per la consegna di una jeep ai carabinieri, appariva asciugato troppo e impallidito proprio.

LA RESA
S'è sentito, nel reparto in cima all'Universitatsspital, un lieve allarme, semi-silenzioso come tutto il resto, come l'intera vicenda di questa morte privatizzata di un personaggio a suo modo nazional-popolare di cui vedremo presto a Detroit, c'è da giurarci, sorgere una statua al salvatore di una città industriale distrutta e da lui resuscitata. E quell'allarme della macchina che lo teneva in vita, quasi discreto ma inequivocabile, è stato il segnale della resa. Parte un elicottero alle 10,30 dall'eliporto dell'ospedale e il corpo di Marchionne - diretto dove? - potrebbe essere lì dentro. Oppure sarà l'elicottero rosso che si alza alle 14,30 quello che contiene l'ex amministratore delegato di Fca. Quel che è certo è che subito dopo pranzo la security, che in questi giorni ha stretto un cordone asfissiante intorno ai giornalisti, per non farli avvicinare al questo famoso nosocomio in cui si fece curare per esempio Luchino Visconti e che una volta ospitò anche l'avvocato Agnelli, sparisce di colpo. Non c'è più niente da proteggere. Marchionne è stato portato via da Zurigo. Salendo sulla sinistra del grande edificio ospedaliero, si arriva alla camera mortuaria. Scusate, il dottor Marchionne è qui dentro? L'impiegata digita il nome e poi risponde: «Le spoglie di questa persona non figurano nella nostra lista». Ecco, cala così il sipario sull'Universitatsspital, anche se non sui segreti clinici e umani degli ultimi giorni. Qualcuno non esclude che da uno dei tanti ingressi secondari di questo policlinico un'auto possa averlo portato via. Lui e la sua roba. Manuela, la compagna, «la mia fortuna», come la chiamava lui, avrà raccolto le ultime cose di Sergio.

Lei non s'è mossa neppure un istante dal capezzale del suo uomo in questi lunghi giorni dal 27 giugno, e i figli di lui, Alessio Giacomo e Jonathan Tyler, avuti dalla prima moglie Orlandina, sono accorsi ancora una volta ieri quando tutto stava precipitando. La cerimonia dell'addio, sulla cima dell'ospedale, sarà stata quella che tutti possono immaginare. Abbracci, carezze, lacrime. La compagna e i figli hanno scelto per un funerale in forme private. E nessuno di loro s'è illuso, dopo le complicazioni intervenute durante l'operazione alla spalla, che si potesse cambiare il verso che avevano preso le cose. Lo stesso John Elkann, ben prima del comunicato ufficiale che fece diramare e in cui parlava ormai del suo «amico Sergio» al passato, è stato visto a Zurigo martedì 17 luglio in giro per la città, lungo le viuzze del centro a ridosso del fiume, in compagnia di una collaboratrice o forse di Manuela. Visibilmente sconvolto dopo essere stato in visita all'ospedale da Marchionne. Alcuni passanti in quella occasione hanno cercato di bloccare il nipote di Gianni Agnelli, per chiedergli un autografo o per sapere dei futuri trionfi della Ferrari, ricevendo un cortese rifiuto: «No, no, questo non è il momento».

IL DOLORE
E «sembrava una persona assai addolorata», racconta un barista di quella strada a proposito del presidente di Fca. Quasi perso nelle vie zurighesi, mentre doveva reimpostare le sue aziende. E adesso che il super-manager non c'è più, viene da ripensare al tipo di rapporto che seppe instaurare con gli eredi Agnelli. Lui, figlio di un carabiniere poi emigrato, nipote di esuli dalmati, nonno infoibato dagli slavi, zio fucilato dai nazisti come disertore, è stato il piccolo borghese di origini meridionali che ha salvato il futuro di una grande famiglia dell'aristocrazia industriale.

Guadagnando tanto e lavorando altrettanto, forse troppo, logorandosi in una entusiastica fatica. Di cui adesso, dall'aldilà, magari starà dicendo: «Lo rifarei». E comunque, niente camera ardente al Lingotto. E niente cerimonie pubbliche. Solo una commemorazione a settembre a Detroit, e un'altra il 25 agosto al Santuario della Consolata, cuore della cristianità torinese dove ogni anno viene ricordato l'avvocato Agnelli. I funerali, riservatissimi, o ad Atessa, in provincia di Chieti; oppure in Canada; o in Svizzera, dove sta per essere cremato. E ieri, nessuna processione vip all'ospedale e due o tre ammiratori. Uno è un ex deputato del Pd eletto in Svizzera, Giovanni Farina: «Marchionne era un gigante che avrebbe meritato di avere, di fronte a sé, altri giganti. Come Lama. Invece gli è toccato un sindacato, piccolo, vecchio e conservatore». È così. Ma Marchionne era quello che diceva: «Bisogna essere come i bravi giardinieri. Piantare semi che durino una vita intera e anche di più». E nel suo caso, il seme del cambiamento può sopravvivere a chi lo ha piantato.

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Giovedì 26 Luglio 2018 - Ultimo aggiornamento: 27-07-2018 07:43 | © RIPRODUZIONE RISERVATA