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La DS fa rivivere la Citroën SM nella SM Tribute, uno studio di stile che sarà esposto in questi giorni allo Chantilly Arts & Elegance e ispirato alla celebre “Sport Maserati”, l’auto che negli ’70 fece parlare di sé tutto il mondo mettendo insieme tutta la tecnologia e lo stile delle Citroën dell’epoca con la grande ingegneria motoristica italiana.
La SM era una vettura di grandissimo fascino, prodotta tra il 1967 e il 1975 in circa 13mila esemplari, voluta allora dalla casa francese (a quel tempo controllata dalla Michelin) perché la DS aveva stile, comfort e tecnologia ineguagliabili, ma le mancavano le prestazioni capaci di renderla una Gran Turismo. Ci fu chi immaginò una DS con un motore più potente, chi invece un modello completamente diverso e dotato di un motore almeno a 6 cilindri. Walter Becchia, l’italiano artefice del motore della 2 CV, aveva progettato un 6 cilindri boxer e persino un Wankel birotore, ma il management non ne rimase impressionato. Ma poi arrivò l’occasione con Maserati.
Nel 1967 il Tridente era in profondo rosso e i proprietari, Adolfo Orsi e il figlio Omer, erano alla ricerca della spalla di un grosso costruttore seguendo quanto aveva fatto da poco Enzo Ferrari con la Fiat. Il gancio con Citroën arrivò nel luglio del 1967, grazie ad un avvocato di origine napoletana, Mario D’Urso. Orsi partì subito per Parigi con il mitico ingegner Giulio Alfieri, progettista di alcune tra le Maserati da corsa e stradali più belle e veloci. I due, una volta in Francia, si trovarono di fronte ad una commissione d’esame formata da una ventina di ingegneri che, del tutto scettici che un piccolo costruttore potesse esaudirli, la spararono grossa chiedendo un 6 cilindri da 150 cv entro sei mesi.
Alfieri li sfidò rilanciando che nella metà del tempo avrebbe avuto pronto un motore da 170 cv per una trazione anteriore e, quando arrivò il momento, fece in modo che erogasse al banco mezzo cavallo in più rispetto a quanto promesso. Era nato il famoso C114, il primo V6 Maserati. Era tutto in lega leggera, con una cilindrata di 2.675 cc (ma poi crebbe a 3 litri) e la V tra le bancate a 90° poiché era derivato dal V8 della Indy per poterlo produrre sui macchinari già disponibili in fabbrica. Aveva distribuzione a due alberi a camme in testa e due valvole per cilindro e la sua compattezza e leggerezza erano eccezionali: 140 kg per una lunghezza di 310 mm. Con questo V6 la SM raggiungeva 220 km/h diventando la trazione anteriore più veloce del mondo, con il comfort e la tenuta di strada delle sospensioni idropneumatiche.
I tecnici francesi non credettero quasi ai loro occhi vedendo i numeri da motore da corsa dell’ennesimo capolavoro di Alfieri e, grazie al posizionamento dietro al cambio manuale a 5 rapporti (più tardi arrivò un automatico Borg Warner a 3 rapporti), la SM poteva contare anche su un bilanciamento perfetto. Citroën entro il 1967 aveva già comprato il 60% di Maserati, il giugno successivo il 15% e due anni dopo il restante 25%. La SM diventò presto l’auto di presidenti, divi e magnati vincendo persino qualche competizione come il Rally del Marocco nel 1971. Ligier utilizzò il motore C114 anche per le sue auto da corsa.
Nel 1987 i coniugi americani Gerry e Sylvia Hathaway, con una versione elaborata da 450 cv con due turbocompressori stabilirono il record mondiale di velocità per un’auto a trazione anteriore superando sul lago salato di Bonneville 202,5 miglia orarie (325,3 km/h). Alla fine del 1973 tuttavia le vendite della SM erano in crisi e anche Parigi non rideva. Per Citroën la Maserati non era la Maserati, ma chi costruiva un V6 che con la crisi petrolifera non era l’ideale. Poi nel 1974 arrivò la Peugeot a rilevare il Double Chevron e, visto che Sochaux aveva un V6 frutto dell’accordo con Renault e Volvo, la Maserati non serviva più.
Nel maggio del 1975 fu dunque messa inaspettatamente in liquidazione e solo l’intervento della politica e della GEPI (Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali) salvò il costruttore modenese che fu affidato ad Alejandro De Tomaso. Un bello sgarbo verso l’Italia che invece nel 1924 aveva accolto a Milano gli impianti produttivi sorti sui terreni venduti da Nicola Romeo al Portello e divenuti poi la sede italiana del Double Chevron. La SM tuttavia era diventata un vero mito, anche per il suo abitacolo comodo come quello di un salotto, e il suo V6 fu utilizzato per altre Maserati come la Merak e la Quattroporte II fino a fare da base per la Biturbo. Gli stilemi della SM, frutto della matita di Robert Opron, e le sue inconfondibili proporzioni, rivisitate in chiave moderna, vivono di nuovo nella SM Tribute, frutto di un lavoro del Design Studio Paris iniziato già nel 2020 con una serie di bozzetti.
La SM dei nostri giorni è anche simile dimensionalmente a quella originale: è infatti lunga 4,94 m (+ 3 cm) e alta 1,34 m (+ 2 cm) con una larghezza di 1,98 m (+ 14 cm). Per migliorare l’aerodinamica, il pavimento è più vicino al suolo (12 cm, - 3,5 cm) e sono notevolmente più grandi gli pneumatici montati su cerchi da 22” di diametro, con quello posteriore carenato da una costola che lascia intravvedere la parte superiore. I fari anteriori che si orientavano meccanicamente in curva e protetti insieme alla targa da una vetrata che abbracciava tutta la calandra, sono sostituiti da Led uno schermo 3D.
La linea spezzata del lunotto separa visivamente più di quanto non lo sia la coda dal corpo vettura e la coda infine, invece che essere troncata in modo perpendicolare al suolo, sembra esserlo in modo obliquo con due angolazioni diverse dando ulteriore slancio all’intera vettura. Originali infine i gruppi ottici composti da tre fili di Led convergenti, con quello laterale che si allunga verso il passaruota posteriore, in modo perfettamente simmetrico alla firma luminosa anteriore. Anche la carrozzeria bicolore è una citazione della combinazione Gold Leaf presente a catalogo nel 1971, con la parte beige satinata con un trattamento a meno ed il nero applicato con una vernice speciale.
L’abitacolo è stato realizzato solo concettualmente, ma è ugualmente interessante e ispirato alla prima SM. Caratteristico è infatti il profilo superiore della plancia al quale è stata aggiunta al centro una consolle schermo verticale. La strumentazione digitale replica i 4 strumenti ovali originali mentre il volante, che originariamente era monorazza, ha ora una corona dal profilo quadrato e lo sterzo è by-wire, ovvero senza collegamento meccanico diretto con le ruote. I rivestimenti sono in pelle incisa al laser ed Alcantara e il profilo dei sedili prende ad esempio quello originale, con il poggiatesta ampio quasi quanto la seduta e i cuscini con imbottitura a cannelloni orizzontali.
Nessuna notizia invece sul sistema di propulsione che però dovrebbe essere elettrico, soluzione che permetterebbe alla SM di avere molti più cavalli rispetto alla gran turismo dotata del V6 progettato per Citroën dall’ingegnere Giulio Alfieri. La base potrebbe essere la stessa utilizzata per la DS Aero Sport Lounge, un concept presentato nel 2020 da 500 kW di potenza. Si tratta però di un crossover dalle linee futuribili e non la reinterpretazione di temi stilistici che fanno parte del passato più illustre di Citroën e che il marchio DS potrebbe riutilizzare sulle proprie vetture alto di gamma, magari anche su una elegante Gran Turismo ispirata alla quella Sport Maserati che unì Italia e Francia 50 anni prima che ci fosse Stellantis.