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RIAD - «There is still a long way to go», sorride Nasser Al-Attiyah, il sempre più solitario principe e pilota del Qatar che guida la Dakar 2023 con il pick-up Hilux della scuderia Toyota Gazoo Racing. «C'è ancora molta strada da fare» prima che possa festeggiare la seconda affermazione consecutiva, la quinta in assoluto. Ma nel giorno di riposo, al bivacco allestito nei pressi della capitale saudita, ha un vantaggio di oltre un'ora sul secondo (dopo la nona tappa, funestata dalla morte di uno spettatore di origine italiana, il margine sale addirittura a oltre 82 minuti). Quasi chiunque passi davanti al quartier generale della scuderia dove i meccanici sono al lavoro rischia di imbattersi in Al-Attiyah. Parla, stringe mani e posa per le foto. Ha gli occhi scavati, ma trasmette una grande (e comprensibile) serenità, del resto è anche primo.
È una Dakar dura...
«Non più dura di altre, ma diversa. Perché è molto più veloce. È nell'ordine delle cose perché la tecnologia si evolve e tutti vogliono fare meglio. I cavalli? Per noi piloti non sono mai abbastanza».
Deve succedere di tutto perché non vinca la Dakar.
«Faremo del nostro meglio e abbiamo un certo margine: dobbiamo essere in grado di gestirlo».
La polemica sulla potenza delle auto?
«C'era un accordo fra i costruttori e la Fia (Federazione Internazionale dell'Automobile, ndr) sta lavorando per una soluzione equa che sappia compensare le prestazioni fra i veicoli che hanno alimentazioni diverse».
Per vincere la Dakar occorre sbagliare il meno possibile.
«Parliamo di piloti che hanno una grande esperienza. L'importante è sapersi fermare e, semmai, tornare indietro quando si capisce di aver oltrepassato i propri limiti».
Come si prepara per una gara come questa?
«Faccio di tutto».
La aiuta il fatto di saper sparare, perché lei ha vinto anche un bronzo olimpico a Londra...
«Assolutamente sì. Infatti un italiano, Ennio Falco (oro nel tiro ai Giochi di Atlanta del 1996, ndr.), fa parte della mia squadra e mi aiuta».
La Dakar è approdata in Arabia Saudita dopo essere stata in Africa e in Sud America: le piace?
«Trovo che sia il luogo ideale. Intanto è relativamente 'centrale' perché non ci sono troppe ore di differenza di fuso orario ed è quindi anche 'facilmente' godibile da tutti. E poi la Dakar si deve correre nel deserto e qui ci sono le condizioni perfette. Spero che resti qui».