La WM P88 corse la 24 Ore di Le Mans del 1988 raggiungendo i 407 km/h sul rettilineo dell Hunaudières. Per ragioni di sicurezza, nel 1990 il rettifilo, lungo 6 km, fu spezzato da due chicane.

Il mito della velocità alla 24 Ore di Le Mans, quando sull’Hunaudières si superavano 400 km/h

di Nicola Desiderio
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La 24 Ore di Le Mans è una gara dove oltre il 70% del tempo il pilota tiene premuto a fondo il pedale dell’acceleratore con medie elevatissime. Eppure c’è stato un tempo in cui questa percentuale era ancora più elevata e le vetture avevano ben 6 km di rettilineo, vale a dire oltre il 45% di tutto il tracciato.

Stiamo parlando del celeberrimo rettifilo dell’Hunaudières, ovvero quel tratto della statale N138 ricavato tra la curva di Tertre Rouge e il villaggio di Mulsanne. A vedere i filmati dell’epoca, era poco più di una strada di campagna: una sottile striscia d’asfalto nel cuore della Loira in grado di trasformarsi per due giorni all’anno in una rampa per missili terra-terra, con velocità che sono ben presto cresciute oltre i 300 km/h fino a superare in qualche caso i 400 km/h.

Per questo l’Hunaudières è stato da sempre fondamentale per vincere a Le Mans, ma è anche diventata una sorta di gara a parte, una sfida nella sfida per chi, più che a terminare la gara delle 24 Ore e vincerla, voleva far parlare di sé stampando vette velocistiche incredibili. Non a caso, la punta massima assoluta l’ha raggiunta una vettura dal nome assai anonimo: la WM P88 che, guidata dal francese Roger Dorchy, si spinse fino a 407 km/h. Era l’11 giugno 1988 e tale record aveva distrutto i 386 km/h raggiunti dalla Porsche 917LH di Jackie Oliver nel 1971.

Quella vettura era progettata da un certo Ferdinand Piëch il quale, oltre a voler vincere la gara – e la vinse in quell’anno per la seconda volta, ma di nuovo con la versione a coda corta, meno aerodinamica, ma globalmente più efficace – immaginava per la sua creatura un traguardo velocistico simbolico. L’ingegnere austriaco, nipote di Ferdinand Porsche, voleva i 400 km/h, ma non li raggiunse mai, battuto proprio su questo simbolo da uno sconosciuto costruttore francese fondato da due ingegneri della Peugeot: Gerard Welter e Michel Meunier le cui iniziali dei rispettivi cognomi diedero il nome della WM.

Welter e Meunier iniziarono nel 1969 e nel 1976 debuttarono a Le Mans con la WM69 ricavata da una Peugeot 204 Cabriolet. Ad aiutarli c’era un altro ingegnere Peugeot, Vincent Soulignac il quale ricorda che si trattava di puro dilettantismo tanto che nessuno di loro percepiva un solo centesimo. Tuttavia gli anni Ottanta videro un’impennata dei costi e per il dilettantismo non c’era più spazio. L’aerodinamica però stava emergendo come disciplina fondamentale dell’automobilismo e Welter ne era fortemente attratto.

Se dunque era impossibile vincere la gara, si poteva puntare sull’aerodinamica per fare un’auto così veloce da entrare nel mito. Il nome del progetto non lasciava spazio a interpretazioni: Objectiv 400. Per attrarre sponsor e denaro sull’impresa, la WM riuscì a coinvolgere il carrozziere Heuliez e il suo capo Gérard Quéveau. Il primo tentativo fu fatto nel 1987 con la WM P87, con ruote posteriori carenate, le anteriori seminascoste e un motore V6 2,8 litri biturbo derivato dal PRV (Peugeot Renault Volvo) che nella versione di serie entrò nel cofano di molteplici modelli, persino sulla prima Lancia Thema del 1984 e sulla Delorean DMC-12.

Per misurare la velocità veniva usata un’apparecchiatura radar denominata Mesta 206 e alla 24 Ore di Le Mans del 1987 la WM fa già parlare di sé raggiungendo i 390 km/h, ma Solignac oggi giura che in un passaggio una delle due P87 raggiunse i 410 km/h e l’apparecchiatura non la registrò per un malfunzionamento. Inoltre nei giorni precedenti alla gara, la P87 aveva raggiunto i 416 km/h in una dimostrazione sul nuovo tratto dell’autostrada A26 tra San Quintino e Laon. Peccato che di passaggi in corsa per ritentare ce ne furono ben pochi: 13 giri per una 14 per l’altra, a causa di guasti.

L’anno successivo la WM schierò di nuovo la P87 insieme alla P88 ulteriormente evoluta. Quest’ultima aveva prestazioni sul giro nettamente inferiori – nelle qualifiche prese quasi 7 secondi dall’altra – inoltre fu portato un sistema di rilevazione della velocità più evoluto, il Mesta 208. Le due vetture non fecero più, rispettivamente di 22 e 59 giri prima di ritirarsi per problemi elettrici, di trasmissione e soprattutto al motore. Il V6 era infatti notevolmente “strizzato”, ancora di più quando furono aggiunti in corsa altri 0,5 Bar di pressione, abbastanza per alzare la potenza da 850 cv a 900 cv e raggiungere i 407 km/h passati alla storia.

Soulignac tuttavia racconta che decisero di dichiarare 405 km/h per amore di patria. Dopo qualche mese era infatti previsto il lancio della Peugeot 405 e pensarono che associare la prestazione velocistica alla denominazione della vettura fosse la cosa migliore. Nel 1989 la Sauber C9 con motore Mercedes dominò la gara portando tutte e tre le vetture al traguardo al 1°, 2° e 5° posto, ma non arrivò oltre i 402 km/h. L’ACO, guardando l’andazzo decise allora di darci un bel freno spezzando il rettilineo dell’Hunaudières con due chicane e allungando l’intero circuito da 13.535 a 13.600 metri netti.

Oggi il circuito de La Sarthe è lungo 26 metri in più per alcune ulteriori modifiche alla curva Mulsanne, alla Tertre Rouge, alle Corvette e alle Dunlop. E nonostante questi cambiamenti rallentatori, le prestazioni delle vetture hanno colmato la differenza. Basti dire che la pole position della Sauber C9 del 1989 fu di 3’15”040 potendo superare i 400 km/h mentre il record attuale di 3’14”791, pari ad una media di 251,882 km/h, è stato stabilito dalla Toyota TS050 di Kamui Kobayashi nel 2017 che non è andata oltre i 337 km/h, raggiunti alla frenata della prima chicane su l’Hunaudières.

La TS050 aveva dalla sua la trazione integrale e la spinta di 2 motori elettrici oltre al V6 2,4 biturbo, con una potenza di oltre 1.000 cv fino a 120 km/h. Il prototipo giapponese usciva dalle curve come una catapulta ma, superata quella soglia, i due motogeneratori venivano disinseriti per regolamento e la vettura poteva contare solo su oltre 500 cv “termici” per fare la velocità. Abbandonato il regolamento tecnico LMP1, le nuove LMH (Le Mans Hypercar) hanno una potenza superiore (circa 700 cv), ma l’unico motore elettrico anteriore entra in azione solo dopo i 190 km/h. Lo scorso anno la Toyota GR010 è riuscita a raggiungere i 342,3 km/h, ma con una pole position sopra i 3’24”.

Avvicinare dunque i 400 km/h a Le Mans oggi non è minimamente pensabile, ma rimane il mito della WM P88 a tal punto da essere entrata persino nel gioco da consolle Gran Turismo 7. La P88 è andata poi a finire della collezione della Heuliez che l’ha venduta del 2012 per problemi aziendali, ma senza il motore e si ritiene che quel V6 sia ancora nella mani di Gerard Welter, o meglio dei suoi eredi. L’ingegnere francese ci ha infatti lasciato il 31 gennaio 2018, non senza lasciarci altre creazioni succulente come la 205 GTI 1.9. E se la Peugeot ha poi deciso di andare a Le Mans lo si deve anche a lui. E infatti lo ha fatto nel 1990 vincendola per la prima volta nel 1991 e ripetendosi l’anno dopo. La WM P88 può comunque essere ammirata alla grande mostra che è stata allestita al Museo della 24 Ore di Le Mans e durerà fino al 2 luglio.

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Martedì 6 Giugno 2023 - Ultimo aggiornamento: 13-06-2023 15:43 | © RIPRODUZIONE RISERVATA