Saman, i giudici della Corte di Assise: «Forse uccisa dalla madre, il motivo non fu il no alle nozze»

La Corte a dicembre ha condannato all'ergastolo il padre e la madre, a 16 anni lo zio

«Saman non fu uccisa per il no alle nozze combinate». Le motivazioni della Corte di assise di Reggio Emilia
4 Minuti di Lettura
Martedì 30 Aprile 2024, 14:37 - Ultimo aggiornamento: 1 Maggio, 00:54

Tutto in una notte di tre anni fa. L'omicidio di Saman Abbas non è stato pianificato nel tempo e non è stata neppure una punizione per essersi opposta a un matrimonio combinato, ma si è compiuto nel casolare di Novellara, in poche ore di una serata frenetica e drammatica, iniziata con la scoperta che lei voleva andarsene di casa col fidanzato, proseguita con una serie di telefonate tra il padre e lo zio e conclusa con lo strozzamento o strangolamento della ragazza. Non si esclude che sia stata la madre a compiere materialmente il delitto, durante il minuto in cui è sparita dal fuoco delle telecamere.

 

Saman, i funerali privati al cimitero di Novellara. Le parole del fratello sulla stele: «Sorella forte e coraggiosa»

Saman Abbas, le motivazioni dei giudici

Ma Nazia Shaheen, ancora latitante in Pakistan, il marito Shabbar Abbas e suo fratello Danish Hasnain, in carcere sono tutti e tre «pienamente parimenti coinvolti» nell'assassinio e «compartecipi della sua realizzazione».

Di questo sono convinti i giudici che hanno depositato oltre 600 pagine di una sentenza su un lungo e complesso processo, concluso prima di Natale con le condanne all'ergastolo per padre e madre, a 16 anni per lo zio (che ha collaborato indicando il luogo dove aveva nascosto il cadavere, elemento di prova fondamentale) e le assoluzioni per i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, immediatamente liberati. La Corte di assise di Reggio Emilia riduce e dimensiona la storia della 18enne pachistana morta tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, ritrovata in una fossa un anno e mezzo dopo e dal 26 marzo sepolta nel cimitero di Novellara. La sentenza non risparmia critiche alla ricostruzione accusatoria, ai media che avrebbero enfatizzato e distorto la vicenda, e demolisce personaggi significativi per gli inquirenti come il fratello della ragazza o il suo fidanzato. 

Decisione concordata

Il giudizio non salva nessuno: la vita di Saman, scrive la Corte (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) «non è stata solo spezzata ingiustamente e troppo presto, ma vissuta attorniata da affetti falsi e manipolatori, in una solitudine che lascia attoniti».

Al fratello, minorenne all'epoca dei fatti, sono dedicati lunghi passaggi. Da testimone cruciale, accusatore dei propri familiari (aveva detto di aver visto lo zio e i cugini quella sera), il giovane diventa un bugiardo, inattendibile, inaffidabile, con sospetti ribaditi di un suo coinvolgimento diretto. «Nessun riscontro, neppure parziale» è stato trovato alle sue dichiarazioni, osservano i giudici. «Tacendo - sottolineano - della impressionante serie di non ricordo, oltre 120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati». Nessuna prova neppure della riunione, da lui riferita, in cui i familiari si sarebbero trovati, giorni prima, per discutere di come uccidere la ragazza. Né dimostra nulla il video del 29 aprile, dove vengono ripresi zio e cugini con le pale. 

«Saman circondata da affetti falsi e manipolatori»

Tutto, per la Corte, è più semplice: «Tutto accade e si decide in occasione della perdurante relazione di Saman con Saqib e dell'intenzione della ragazza di andar via di casa». Anche perché, spiega la sentenza, dal rientro di Saman il 20 aprile «l'unica occasione in cui si è registrato un contrasto tra la ragazza e i genitori è quella della sera del 30». Fu lì che si scoprì e si parlò della relazione col fidanzato e dell'idea di fuggire di nuovo. Fu lì che ci fu una «sequela incalzante e compulsiva di chiamate tra i due imputati», Shabbar e Danish, dopo le 23, «anomale per numero, ripetitività e orario», che «si spiega e si giustifica proprio e soltanto in considerazione della natura non premeditata dell'omicidio». Forse lo zio scavò la buca poco prima e i genitori la accompagnarono a morire. Non è chiaro chi fece cosa: «Non ci sono elementi per dire che lo zio da solo abbia eseguito l'azione». Nazia potrebbe averla tenuta ferma, oppure potrebbe essere stata lei direttamente a strangolare Saman. L'unica certezza è che furono tutti e tre coinvolti «nella concatenazione di eventi che ha condotto all'uccisione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA