Biennale Arte, Chiara Parisi​: «Alla Giudecca per vedere coi propri occhi» Ecco cosa inaugurerà il Papa a Venezia

La direttrice del Centre Pompidou-Metz ha ideato il Padiglione del Vaticano ospitato nel carcere femminile. Sarà Papa Francesco a inaugurare l'allestimento

Una delle installazione nel carcere femminile della Giudecca a Venezia
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 24 Aprile 2024, 12:30 - Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 11:39

Tutto ha preso il via da un sonetto di Shakespeare: Con i miei occhi.

È da lì che è decollato il progetto più innovativo che sia mai stato pensato e allestito alla Biennale d'Arte. Dentro al carcere femminile della Giudecca, a Venezia, un antico monastero fondato nel XII secolo che occupa un'area coperta di circa mille metri quadri e nel quale sono recluse decine di donne di diversa età e nazionalità, dove la Santa Sede ha allestito il proprio Padiglione chiamando artisti di fama mondiale con opere che aiutano a incontrare, sentire, percepire quell'invisibile filo rosso che sussurra al cuore dell'umanità.

È l'arte che accompagna la percezione del vivere assieme, del pensare assieme, dell'amare assieme. L'ideatrice di questo percorso è una donna, Chiara Parisi, accademica, storica dell'arte e attuale direttrice del Centre Pompidou-Metz a Parigi che con il direttore di Palazzo Grassi, Bruno Racine ha curato l'intero percorso.

La porta d’entrata pare un ingresso come altri, ma poi superata la guardiola delle agenti penitenziarie che sbrigano le pratiche, prendendo in custodia borse e telefonini, si è finalmente “dentro”. Il Padiglione in un carcere non è proprio scontato, Chiara Parisi come le è venuta idea?
«Volevamo, con Bruno Racine, immaginare nuove versioni del mondo. La capacità di introdurre novità nella storia.

L'invito a essere curatori ci è stato posto dal cardinale Tolentino e abbiamo pensato a questo posto incredibili che già di per sé ha un suo significato. Il carcere della Giudecca è famoso per le sue attività interne. Penso però che sia stato determinante non concentrarci tanto sugli artisti, o su un singolo artista, ma coinvolgere il mondo dentro e quello fuori, in una osmosi. Nessuno del resto rappresenta nessuno e gli stessi artisti, così come le detenute, hanno vissuto assieme una esperienza indelebile». 

Come guardare la realtà partendo da un altro punto di partenza, per ridisegnarla?
«Esattamente. Prima è stato essenziale mettersi d'accordo sul titolo e abbiamo preso uno dei più grandi sonetti d'amore che fa riferimento anche al Libro di Giobbe: andare a vedere con i propri occhi, incontrare personalmente anche se questo implicava il superamento del pregiudizio o delle convenzioni. Con gli artisti ci siamo scambiati impressioni e il cardinale ha accettato subito. La collaborazione con le ragazze ha poi preso forme diverse e nessuno di noi è rimasto immune alla trasformazione. Così come sarà anche per coloro che verranno a visitare». 

È tutto molto in chiave femminile...
«L'impronta è fortissima ma ovviamente qui nessuno parla di prigione e di prigioniere. Alcune di loro hanno pene lunghe, sono madri, figlie, zie e tutto quello che implica essere donna in questo contesto. La realtà ci ha aiutato a inglobare diverse forme artistiche, la pittura, la danza, la musica, la scultura. Ed è stato un lavoro straordinario». 

La prima opera che si incontra è di Maurizio Cattelan, il suo lavoro spesso mette in luce i paradossi della società, a volte con un linguaggio caustico...
«Cattelan ha realizzato un affresco con una tecnica antica, ed è collocato all'esterno subito dopo aver lasciato gli effetti personali, da dove inizia il cammino visivo. “Con i miei occhi”. Lì ogni gruppo viene accompagnato all'interno dalle detenute e dalla polizia. Nessuno porte con sé telefonini, può solo osservare, introiettando le immagini. Vedere con i propri occhi offre la possibilità di essere coinvolti. Nessuno sarà spettatore, ma testimone».

Il Vaticano ha così fatto pace con Cattelan dopo la scultura su Papa Wojtyla schiacciato da un masso?
«Quell'opera, La nona ora, è un’opera densa, allegorica e chi la critica non la conosce. È una delle opere più importanti della spiritualità occidentale. Wojtyla non è schiacciato dal meteorite, semmai è l'allegoria della solitudine. Cattelan quando lo abbiamo contattato per la Biennale è stato entusiasta, le detenute lo hanno adorato. Visto che nel carcere non hanno accesso a Internet, prima dell'incontro abbiamo mandato loro dei suoi libri, per fare conoscere i suoi lavori. L'alchimia umana ha funzionato. È una persona gioiosa, un filosofo dell'arte, a volte venato da malinconia».

E le altre opere nel Padiglione?
«Ci sono i bassorilievi di lava di Simone Fattal sui quali sono state scritte poesie. E poi Corita Kent, suor Mary Corita. È morta nel 1986 e la sua arte parla di povertà, razzismo e guerra. È stata un’attivista contemporanea di Warhol. Si incontra poi Claire Fontaine, un collettivo di artisti concettuali e femministi con le sculture luminose. In una sala verrà proiettato un film, in un'altra sala ci sono i ritratti delle bambine o delle detenute. Claire Taburè quando le abbiamo chiesto di realizzare un'opera con le foto dei bambini e delle famiglie d'origine delle detenute ha dato vita a un grande collage. Ci sono più di 85 fotografie. E poi, ancora, nella stanza prima della cappella, è collocata Sonia Gomez. Lei, invece, dà vita a eclettiche contorsioni di tessuto che evocano l'idea di viscere e oggetti sacri. Sono sculture sospese». 

Le opere rimarranno alla Giudecca in modo permanente?
«Purtroppo no, l'idea è quella di creare ponti tra dentro e fuori il carcere. Seguendo anche gli insegnamenti che in tutti questi anni ci ha regalato Papa Francesco aiutandoci a capire quel passo di Matteo che dice: ero in carcere e siete venuti a trovarmi».

L'arte contemporanea ha una visione profetica?
«Le dico solo che alla Giudecca il miracolo è realmente avvenuto, c'è stata una scintilla».

Francesco sarà il primo Papa a inaugurare la Biennale d'arte visitando il “suo” padiglione...
«Siamo emozionati. Ci ha anche scritto una lunga prefazione per il catalogo in cui parla degli artisti e della libertà di espressione, oltre che della visione del futuro, della forza di continuare a combattere e guardare sempre l'orizzonte comune andando sempre a vedere le cose con i propri occhi». 

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