Che prima o poi venisse al pettine il nodo delle debolezze nel sistema della pubblica amministrazione era dato per scontato in tutte le sedi dove si fa analisi e non propaganda politica. Altrettanto lo è la sfiducia nell’effetto di rimbalzo che l’evento dovrebbe avere: si dubita che questo spinga a mettere mano ad una razionalizzazione del sistema. Il fatto che tutto stia accadendo intorno alla vicenda della capacità di impiegare i 192 miliardi del Recovery Europeo aggiunge drammaticità, perché è in gioco la perdita di una occasione storica. Si denuncia il gioco di scaricabarile: è colpa del governo Conte2, no di quello Draghi, no di questo guidato da Meloni. In realtà la colpa sta per lo più nel manico: l’essersi buttati a dover presentare in tempi abbastanza ristretti progetti più o meno compiuti e aver dovuto soggiacere all’idea di distribuire il più possibile la torta disponibile, per cui qualcosa si doveva dare anche a regioni, comuni, ecc.
È questo che ha determinato la corsa a svuotare i cassetti dei progetti che si avevano più o meno pronti rivestendoli delle parole d’ordine che si supponeva fossero gradite a Bruxelles (per cui, tanto per dire, restaurare stadi e migliorare parchi rispondeva al progresso dei contesti urbani). Dietro questo caos calmo sta però la spinosa questione del cattivo stato di salute della nostra amministrazione pubblica. Non è un mistero che le nostre burocrazie, in quasi tutti i comparti, abbiano un alto tasso di invecchiamento, un turn over bloccato per recuperare anni ormai lontani di “infornate” nell’impiego pubblico, e soprattutto scarsa attrattività per cui non interessano alle intelligenze ed alle energie migliori del paese. Richiamare eccezioni, che ci sono e che non si vogliono negare, diventa però un’ipocrisia per evitare di fare i conti col livello medio e “normale” di funzionamento della macchina pubblica.
Vale per l’amministrazione centrale, vale per le amministrazioni regionali, per quelle comunali. Tocca tanto i livelli dirigenziali che la struttura impiegatizia, dimenticando che anche nell’ipotesi di avere ottimi generali, questi vinceranno poche battaglie se hanno truppe mal addestrate e poco motivate.
Rendere attrattivo il mettersi al “servizio del bene pubblico” (questo deve fare la burocrazia) è un imperativo se vogliamo avere a tutti i livelli personale all’altezza di quella grande trasformazione in cui è impegnato il nostro paese. Ci vogliono retribuzioni adeguate, soddisfazioni sul lavoro, carriere che non siano semplicemente modulate sul vecchio sistema del passare lentamente di grado in grado per lo più per anzianità, riconoscimenti sociali ancor più necessari oggi in una società dominata dalle gerarchie stabilite dall’opinione pubblica.