Soldi per la ricostruzione sanando i clandestini
La proposta è stata lanciata da Gianluca Luciano, amministratore di Stranieri in Italia, la casa editrice che possiede l'omonimo sito Internet e una decina di giornali nelle diverse lingue degli immigrati. Decidere una regolarizzazione dei tanti cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, che inevitabilmente lavorano in nero presso imprese e famiglie, e destinarne il gettito alla ricostruzione delle aree devastate dal terremoto del 6 aprile. «Sono persone oneste - spiega Luciano - che non sono riuscite a passare per le strette maglie della legge sull'immigrazione, e chiedono solo la possibilità di vivere finalmente alla luce del sole». Stranieri in Italia fa i conti dell'operazione. Stimando 600 mila clandestini come destinatari del provvedimento, e un onere di 700 euro a testa, lo stesso richiesto nella “grande regolarizzazione” decisa dal governo Berlusconi nel 2002, affluirebbero immediatamente nelle casse dello Stato 420 milioni. Uno stanziamento importante e immediatamente disponibile, utile a fronteggiare l'emergenza. Ma il vero tesoro arriverebbe dopo, dal costante gettito fiscale e previdenziale dei nuovi 600 mila emersi che, in base a stime del Sole 24 ore, Gianluca Luciano valuta in oltre 730 milioni l'anno di imposte e più di 2 miliardi e 400 milioni l'anno di contributi, buona parte dei quali verrebbero destinati in via straordinaria alla ricostruzione. Un paio di brevi considerazioni. Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, ha appena fatto sapere che non c'è bisogno di nuove tasse per finanziare la ricostruzione. Ma è evidente che la coperta dello Stato è alquanto corta, e che se arrivano nuove risorse, le vecchie possono essere dirottate utilmente altrove. Inoltre, i clandestini sono forse anche più di 600 mila: essendo impossibile un'espulsione di massa, si tratta di decidere se farli lavorare alla luce del sole, oppure tenerceli e far finta di non vederli, con tutto ciò che l'illegalità comporta. A partire dal 1986, l'Italia ha scelto cinque volte la via della sanatoria, una ogni quattro-cinque anni, non importa quale fosse il governo in carica. Una domanda, infine. Chi prenderà pala e piccone per ricostruire l'Aquila e i paesi dell'Abruzzo colpiti dal sisma? Saranno tutti nostri baldi giovani, o avremo anche bisogno di braccia straniere? Proviamo a pensarci un po' e a dare una risposta. Senza partito preso, senza pulsioni irrazionali. Ma soltanto con chiarezza e onestà intellettuale.
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