Francesca Valdani, Team Manager Nissan

Francesca Valdani, Team Manager Nissan: «C'è ancora un po' di maschilismo, ma noi non possiamo fare le principesse»

di Mattia Eccheli
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VALENCIA – La scuderia più italiana della Formula E è anche la più femminile. Non solo ha Tommaso Volpe come capo delle operazioni, ma da quasi un anno Nissan ha anche Francesca Vadani quale Team Manager e Sporting Director, una sorta di “ufficiale di collegamento” sul campo, non solo all'interno della squadra, ma anche tra essa e la Fia. I regolamenti sono il suo pane quotidiano, ma la sua passione per il motorsport è legata al suo paese di nascita, Monza: «Sentivo il rumore delle macchine dalla mia camera – ricorda – A dodici anni mio papà mi aveva portato a un test. Ho assistito subito al primo incidente».


E ricordi anche di chi?
«Eddie Irvine, alla prima variante, quando c'era ancora il circuito vecchio. Ne sono rimasta impressionata».


Una sorta di battesimo di fuoco...
«Da quel momento in poi ho trascorso un mucchio di tempo a guardare il lavoro dei meccanici e quello che succedeva nel paddock. Ma erano gli anni in cui si vedeva meglio, prima delle modifiche».
Quindi il passo per entrare nei circuiti è stato breve?
«Mica tanto, perché non avevo alcun collegamento con il mondo del motorsport. Ma ci bazzico da quando ho 18 anni».
La famosa gavetta...
«Ho cominciato come controllore e parcheggiatrice, sì. Poi sono passata dalla parabolica al paddock prima di diventare responsabile della squadra del paddock e della pit lane. E nel frattempo mi sono laureata in scienze motorie cominciando con uno stage nel team Formula Renault 2000».


Bei ricordi.
«Non sempre. Gli inizi sono stati caratterizzati da alti e bassi perché ogni squadra in cui andavo chiudeva subito oppure non mi pagava».


Oggi puoi dire di avercela fatta.
«Se hai un sogno, lo devi perseguire: è quello che si deve fare ed è quello che dico a chi volesse inseguire lo stesso obiettivo. Nella mia carriera sono rimasta in Italia per i primi sei anni, poi sono passata ad una scuderia legata a Bmw: era una tappa internazionale necessaria».


Quando sei approdata in Formula E?
«A metà della seconda stagione, con la Aguri. È un campionato diverso e ho dovuto cambiare il mio modo di lavorare: la Formula E stava nascendo e crescendo in modo, come dire, non convenzionale. È un mondiale innovativo, che si vive in modo differente perché si corre in città e in posti diversi e non in strutture stabili. Ci sono sempre nuovi problemi da affrontare e risolvere».


Un campionato pionieristico, insomma!
«Non più, non più. Ma serve comunque un grande senso pratico, anche se la Formula E ha trovato un suo equilibrio».


Il motorsport è maschilista?
«Un pochino lo è ancora, sì, ma molto meno rispetto all'inizio. In Nissan siamo sei ragazze: abbiamo la squadra operativa più femminile del campionato e credo sia un bel vantaggio».


Dovete ancora lottare per farvi spazio?
«Le donne devono essere forti, ma devono anche saper capire. Siamo noi ad essere arrivate in un ambiente maschile e non possiamo farlo da principesse. Dobbiamo adattarci ed essere intelligenti e qualche volte alcune cose vanno sopportate».


La Formula E ha già avuto una donna quale team principal...
«Non credo di poter competere con Susie Wolff (che aveva guidato la Rokit Venturi, ndr), ma mi piacerebbe rimanere nell'ambiente. Anzi: non riesco proprio a immaginarmi lontana dal motorsport».


Hai lavorato anche nel Wec, ma la Formula E sembra la tua “casa”, perché?
«Ci sono molte cose belle, dalle location al fatto che portiamo le gare nel centro delle città. Vediamo addirittura le persone che cucinano mentre facciamo i sopralluoghi in pista. E poi portiamo in giro per il mondo un messaggio di sostenibilità: è bello per noi ed è buono per il pianeta».

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Venerdì 27 Ottobre 2023 - Ultimo aggiornamento: 28-10-2023 09:47 | © RIPRODUZIONE RISERVATA