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Monsieur Le Mans per tanti anni è stato Jacky Ickx. Il pilota belga, vincitore pure di una delle prime edizioni della Dakar, ha trionfato in sei occasioni alla 24 Ore di Le Mans. Anche quando il rettilineo di Hunaudières si percorreva senza chicane, viaggiando per ben più di un minuto a quasi 400 km/h. Poi mister La Mans è diventato il danese Tom Kristensen che è arrivato primo per ben 9 volte, dal 1997 al 2013. Fra queste leggende viventi sul circuito di La Sarthe c’era Emanuele Pirro, invitato per la festa del centenario dagli organizzatori come «pilota che ha dato lustro alla gara». Emanuele è romano, ha corso dappertutto, anche in F1. Ma le pagine più belle al volante le ha scritte proprio alla maratona francese che ha fatto sua 5 volte, sempre con l’Audi di cui era pilota ufficiale e punta di diamante. Emanuele, oltre ad essere un grande driver, è un tecnico ed ora un commentatore, chi meglio di lui può spiegare la portata del successo Ferrari.
«Non c’è dubbio, si può parlare di un’impresa eccezionale - spiega Pirro - solo chi conosce a fondo questa corsa sa quante cose bisogna mettere in fila per ambire ad essere scelti da Le Mans come vincitori. Alcuni grandi costruttori hanno atteso anni prima di colpire l’obiettivo, altri non ci sono mai riusciti. Fare centro con una vettura esordiente, che ancora non aveva vinto nemmeno una gara, è sorprendente. Alla casa di Maranello bisogna riconoscere tre meriti fondamentali». Emanuele inizia con la sua analisi che va in profondità: «Il primo è ingegneristico e tecnologico che dimostra le raffinate competenze dell’azienda. Certo, non è tutto, ma partire da un ottima base, da un’auto veloce ed affidabile, è una base invidiabile sulla quale lavorare. E la P499 ha dimostrato di essere una bella vettura. Poi bisogna aggiungere tutto il resto che non è poco».
Pirro illustra gli altri due elementi che secondo lui sono strategici per emergere nelle gare endurance moderne, un lavoro sul quale viene coinvolta tutta la squadra. «Queste competizioni così avvincenti oggi sono rese possibili dal BoP, il “balance of performance”. Non è soltanto il peso diverso, entrano in gioco numerosi fattori, dalla potenza a l’energia. Devi lavorare, impegnarti per portare la macchina al massimo della forma per i momenti che contano e penso che la Ferrari abbia fatto un programma perfetto. La P499 era al top nell’era della pole position e in gara lo ha confermato». Mister Le Mans tricolore cala il terzo asso ed ancora una volta punta sull’organizzazione, sulla pianificazione, su come si muove l’intera squadra.
«Sembrerà strano, ma è così. Specialmente sulle lunghe distanze il talento di guida non è tutto, ognuno deve essere un tassello che contribuisce al puzzle finale. Mi sembra che la Ferrari ha fatto il massimo da questo punto di vista, non tralasciando nulla: ognuno deve sapere esattamente cosa fare quando. Ho visto altri team che si sono comportati in modo diverso, attaccando nelle prime fasi in modo un po’ eccessivo, in condizioni oggettivamente difficili. Bisogna avere la pazienza di aspettare la fase opportuna». Un ultimo pensiero lo dedica proprio ai ragazzi che impugnano il volante. «L’equipaggio deve essere preparato a fondo, ma poi sono i piloti a determinare il comportamento in pista. I driver di Maranello si sono comportati tutti in maniera perfetta, hanno rispettato le vetture senza danneggiarle. Non era facile in un edizione tirata come quella di quest’anno».