Luca di Montezemolo e Sergio Marchionne

Il simpatico racconto di Montezemolo:
«Con la 348 mi staccava la Golf GTI...» Video

di Giorgio Ursicino
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Non c’è dubbio, è stato Luca di Montezemolo a creare la “nuova Ferrari”, quello che è adesso. Qui sotto, oltre che un sintesi dei 23 anni di presidenze con i passaggi fondamentali del cambiamento un breve video in cui lo stesso Presidente racconta come erano le vetture di serie del Cavallino quando lui è arrivato a Maranello in relazione a come sono ora, le meraviglie della 458 (magari anche Speciale) contro la molto meno gloriosa 348. Un racconto sì colorato, ma profondamente vero, che Montezemolo ci aveva già raccontato nel 1991 quando iniziò la sua avventura.


Montezemolo e la Ferrari, una storia di successo. Enzo Ferrari ha fondato la Scuderia poi diventata casa automobilistica e l’ha guidata fino alla sua scomparsa nel 1988 quando Fiat era già azionista. Luca di Montezemolo, che aveva già lavorato con successo a Maranello come direttore sportivo per volere di Gianni Agnelli negli anni Settanta, è diventato presidente (sempre per scelta dell’Avvocato) nel novembre del 1991. Un autunno freddo a Maranello.

La stagione di F1 si era chiusa in modo disastroso, peggio di quella attuale: Alesi 7° con appena 21 punti, Capelli quasi tutti ritiri. «Se penso che lo scorso anno avevamo Mansell e Prost...», fu uno dei primi commenti del Presidente. La situazione non andava meglio nelle vetture di serie: produzione superiore alla domanda, cassa integrazione, prodotti con critiche alla qualità. C’era tanto da costruire più che da ricostruire e Montezemolo ha fatto tanti passi avanti e pochissimi indietro, dimostrandosi manager globale e grande esperto di marketing.

Ha anticipato la crisi europea e quella italiana, il Cavallino doveva cercare nuovi territori da affiancare all’America, già all’epoca il mercato più grande. Due strade parallele lo sport e le vendite, le vittorie e l’esclusività, l’emozione e la sostanza. Tanta fantasia, ma pure concretezza. Il titolo di F1 mancava da Maranello dal 1979, alcuni credevano non ci sarebbe tornato più. Montezemolo prima che i risultati cercò gli uomini, portò a Maranello Jean Todt allora quasi sconosciuto. Insieme decisero di puntare su Schumi e sui suoi fedeli tecnici, Ross Brawn e Rory Byrne, una squadra diventata invincibile ed entrata nella leggenda.

Una sporadica vittoria di Berger nel ’94, poi quelle di Michael nel ’96 e il titolo perso all’ultima gara l’anno successivo. Ancora due anni di attesa poi 5 Mondiali di fila e un dominio assoluto. La vecchia fabbrica di Enzo Ferrari, intanto, veniva ricostruita pezzo pezzo, senza lasciare nella al caso: efficienza, tecnologia, rispetto ambientale e dei dipendenti. Fino a diventare un riferimento mondiale, l’oggetto del desiderio dei giovani di mezzo mondo. La produzione cresceva poco, aumentava invece il fatturato, l’immagine, gli utili e il valore del brand.

Si allargava la gamma rimanendo fedele all’impostazione del Drake: «Non vendiamo auto, ma sogni». I vari modelli mantenevano intatte le loro prestazioni super, ma diventavano sempre più utilizzabili, affidabili, sicuri: auto da usare non solo da esporre. «Ferrari diverse per ferraristi diversi» era la formula coniata dal Presidente alla presentazioni della “comoda” California e a quelle della versatile FF (4 posti e anche la trazione integrale).

Spariva il pedale della frizione (la Ferrari è stata la prima ad utilizzare il cambio attuato con le levette dietro il volante) arrivavano i freni in carbonio, prendeva quota il marchandising, più ambito di quello del Real Madrid e del Machester United. Nessun ferrarista ha più chiesto lo sconto, quasi tutti vanno a Maranello a definire la loro vettura che sarà diversa da tutte le altre. Infine il reparto auto d’epoca per ripristinare i gioielli del passato: non è un caso che 9 delle 10 vetture più care mai vendute all’asta siano proprio delle Ferrari.


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Mercoledì 10 Settembre 2014 - Ultimo aggiornamento: 11:41 | © RIPRODUZIONE RISERVATA